TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 21 maggio 2018

Camminare sui sentieri dei partigiani a Paraloup



Siamo stati a Paraloup, culla della Resistenza. E abbiamo imparato qualcosa.

Giorgio Amico

Camminare sui sentieri dei partigiani a Paraloup.

Ci arriviamo con la nebbia. Il bosco, imperlinato dalla pioggia , appare e scompare in una massa bianca e impalpabile. Tutto attorno a noi è silenzio, solo il rumore di cento torrentelli accompagna il nostro cammino.

Stiamo salendo a Paraloup, culla del movimento partigiano e non solo nel Cuneese. Qui subito dopo l'8 settembre 1943 si attestò la prima banda. «Strano gruppo di improbabili guerrieri – la definisce Marco revelli - che avrebbe senza dubbio fatto arricciare il naso a più d’uno dei numerosi ufficiali di Stato maggiore che rifiutavano la collaborazione con i “ribelli”, perché non la consideravano una cosa seria». (Marco Revelli, Resistenze, quelli di Paraloup, Edizioni Gruppo Abele).

E invece cosa seria era, anzi serissima. Tanto che da quel piccolo gruppo di combattenti, dodici in tutto, guidati da Duccio Galimberti, prese vita e forza il movimento partigiano. Tanto seria che con tutta la loro forza e crudele ferocia fascisti e tedeschi non riuscirono più a sradicare quei combattenti, sempre più numerosi e motivati, da quelle montagne fra Valle Stura e Valle Grana.

Paraloup, piccolo borgo di alta quota di pastori e contadini, diventa un simbolo di forza e tenacia. Il suo nome risuona come un grido di battaglia.Italia libera” si chiama il movimento che lo anima. Sono giellisti, intellettuali, borghesi, contadini, operai. Fra loro figure storiche della Resistenza come Duccio Galimberti che finirà fucilato dai tedeschi, e tanti giovani destinati poi a lasciare un segno nell'Italia del dopoguerra: Dante Livio Bianco (anche grande alpinista), Nuto Revelli, Giorgio Bocca.


E' proprio Nuto Revelli, che a Paraloup arrivò nel febbraio del 1944, dopo la tragica esperienza della Russia, a rendere storia viva la guerra di Paraloup: «Fra le povere baite tutto è vivo, in movimento: partigiani che puliscono le armi, che spaccano la legna, che tornano dalle corvées con i muli. Strano esercito. Uomini senza gradi, senza divise, sbrindellati: gente che parla tutti i dialetti, dal piemontese al siciliano. Molti i colori: maglioni e giubbotti rossi, gialli, con il grigioverde di sfondo, proprio come apparivano i campi di sci prima della guerra». (Nuto Revelli, La guerra dei poveri, Einaudi)

Con gli anni del “miracolo” Paraloup, come tutta la montagna, si spopola. I giovani scendono a valle. Da montanari si fanno classe operaia, ma non perdono combattività e fierezza. Saranno gli operai della Michelin dell'autunno caldo. Ma la borgata resta deserta e lentamente va in rovina, muta testimonianza di una storia che troppi in alto hanno voluto dimenticare in fretta.

Dove resta la memoria è in basso, fra la gente più semplice, fra quegli uomini e quelle donne che furono carne e sangue della lotta contro i fascisti. Italia libera li voleva cittadini di un paese finalmente democratico e giusto, il dopoguerra li ha resi di nuovo gli ultimi, gli invisibili, i dimenticati.


E allora Nuto Revelli ritorna a Paraloup, risale la montagna e la Langa, cerca quegli uomini e quelle donne, ormai invecchiati, raccoglie le loro storie. Uno dopo l'altro escono libri che ricostruiscono la memoria viva di quei luoghi e della sua gente. Il mondo dei vinti e poi L'anello debole sono pietre a edificare un monumento a chi il potere trascura e dimentica, a chi la storia l'ha fatta davvero ogni giorno della sua vita con il fucile, come negli anni infuocati della Resistenza, e con la zappa nella vita di ogni giorno. Una vita difficile, tirata con i denti, ma che non ha tolto dignità a chi voleva prima di tutto essere e restare uomo libero. Nonostante la miseria, nonostante lo spettacolo indecente di una Italia che si riscopre ricca e senz'anima.

Ricostruita la memoria, ora tocca ricostruire le case. Grazie alla Fondazione Nuto Revelli, animata dal figlio Marco, lentamente Paraloup viene ricostruito, casa dopo casa. L'obiettivo diventa dimostrare che si può tornare a vivere in montagna, che la battaglia non è persa. E così pietra su pietra Paraloup rinasce e oggi ospita un rifugio, accoglientissimo grazie all'impegno di un gruppo di giovani donne, oltre che mostre, incontri, proiezioni, reading e conferenze, organizzati dalla Fondazione Revelli.


A Paraloup si respira libertà, tra quelle case di pietra e legno il sogno di Duccio Galimberti e Nuto Revelli continua a vivere. Scendiamo e a casa ci accolgono i telegiornali con l'ultima puntata della telenovela Di Maio-Salvini, ma stranamente non ci arrabbiamo. Sarà l'aria di Paraloup che ci ha dato speranza. Passerà anche questa, ora si deve resistere.