TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 11 ottobre 2017

10. Karl Korsch. L'anti-Kautsky (1929)


Nono capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". Terminata l'esperienza di Kommistische Politik, Korsch si dedica interamente alla riflessione critica sul marxismo. Il 1929 è l'anno della polemica con Kautsky, ma anche dell'inizio della grande amicizia con Bertolt Brecht.

Giorgio Amico

La critica del kautskismo (1929)



Nel 1928 termina il mandato parlamentare di Korsch e con esso l’esperienza di Kommunistische Politik. Privo di ogni fonte di finanziamento, isolato, duramente calunniato dagli stalinisti, Korsch non è più in grado di assicurare l’uscita della rivista né di mantenere in piedi un anche minimo apparato organizzativo. Senza più legami, privi del punto di riferimento comune rappresentato fino a quel momento dal giornale, i gruppi locali che fanno riferimento alle posizioni di Korsch accentuano ulteriormente quei caratteri di estrema autonomia già evidenziati al momento della Terza Conferenza nazionale. Cosicchè in pochi mesi l’organizzazione di fatto si scioglie nel movimento.

Altrettanto fortemente si fa sentire sui militanti la delusione per una situazione che pare contraddire a fondo l’analisi del gruppo sulle potenzialità rivoluzionarie della fase. Contrariamente alle attese, i margini d’azione per i rivoluzionari marxisti appaiono sempre più ristretti. Da un lato il partito socialdemocratico ha saputo riprendere, sfruttando il momentaneo periodo di ripresa economica, il controllo di una classe operaia che, sconcertata da anni di lotte infruttuose e di estremismo verbale, sente forte il bisogno di concretezza e stabilità. Quanto alla KPD, dopo la crisi del 1926 essa ha definitivamente messo fuori gioco l’estrema sinistra e trasformato il partito in una organizzazione compatta e disciplinata, diretta con mano ferrea da un apparato sempre più simile ad un ordine religioso dove più di tutto conta una fede cieca nella leadership sovietica e l’assoluta rinuncia ad ogni elemento di individualità critica.

Grazie a questa nuova compattezza che gli conferisce un’immagine di “durezza bolscevica” e alla tattica ultrasinistra che d’accordo con Mosca la direzione Thälmann porta avanti da qualche mese, nel 1928 il partito comunista appare in forte ripresa proprio in quell’area più emarginata di lavoratori su cui tanto contava il gruppo di Kommunistische Politik. La crisi economica che inaspettata scoppia l’anno successivo (1929) in conseguenza del “crollo di Wall Street”, facendo ricadere il paese nel caos, non premia i rivoluzionari che pure l’attendono da anni, ma conferisce ulteriore forza a stalinisti e nazionalsocialisti che militarmente si contendono il controllo del movimento dei disoccupati. 1

Ridotta ad una miriade di groppuscoli, tanto litigiosi quanto privi di effettivo seguito, la sinistra rivoluzionaria rifluisce su posizioni di estremo settarismo o di rifiuto dell’impegno politico. Un’intera generazione di militanti, formatasi nei primi anni del dopoguerra, abbandona la politica per ripiegare nel privato o nei casi migliori in attività alternative sul piano culturale e artistico. In Turingia, dove Korsch insegna, quasi il settantacinque per cento dei vecchi militanti della KPD e dell’USPD passati ai gruppi abbandona la milizia attiva. 2 La situazione non è diversa nel resto della Germania: ovunque l’estrema sinistra appare in piena disgregazione.

    Bertolt Brecht

L'amicizia con Brecht

Abbandonata la speranza di poter costruire una nuova forza politica comunista autenticamente rivoluzionaria, dopo il 1928 Korsch continua la sua attività al di fuori di ogni organizzazione di partito. Comincia a scrivere per le riviste che accettano i suoi contributi, riprende in modo sistematico e approfondito i suoi studi, viaggia, tiene conferenze in diversi paesi, allaccia nuovi rapporti in ambito artistico e culturale dal circolo degli intellettuali del «Café Adler» di Berlino, alla Società per la filosofia empirica. Hedda Korsch ricostruisce così questa nuova fase della vita di Karl:

“In quel periodo eravamo strettamente legati a tutto il gruppo raccolto intorno alla Malik Verlag, compreso Felix Weil, figlio di un milionario che aveva finanziato sia la casa editrice, sia l’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte. Era un amico importante (…). Un giorno di agosto del 1928 ci invitò ad assistere alla prima de L’opera da tre soldi, e vi andammo insieme; poi ci recammo ad incontrare Brecht con alcuni di quegli altri artisti di sinistra. Quella sera c’era anche George Grosz, ed eravamo tutti molto eccitati: ci sembrava un qualcosa di davvero nuovo e importante. Da allora in poi Korsch e Brecht si incontrarono di tanto in tanto e, quando Karl dava un ciclo di conferenze a Berlino, Brecht era solito parteciparvi. Ma lui e Brecht trovarono ben presto che la cosa era inadeguata e incominciarono ad incontrarsi in riunioni espressamente organizzate alle quali ognuno di loro portava quattro o cinque compagni. Continuarono a vedersi fino a che le riunioni di dieci o dodici persone cominciarono a farsi pericolose. Le conferenze di Karl venivano date alla Karl Marx Schüle, la scuola in cui io insegnavo. Era una scuola sperimentale, molto di sinistra (…). Eravamo soliti offrire le classi a degli esterni affinchè vi dessero delle conferenze, a patto che lo facessero nello spirito di Karl Marx, ed era lì che Karl parlava di solito”. 4

Un’amicizia profonda, quella fra i due intellettuali, che ben presto si trasforma in un vero e proprio soldalizio intellettuale. 5 Tutta l’opera di Brecht, che si considererà sempre un marxista, sarà influenzata dai seminari sulla dialettica tenuti da Korsch a Berlino e poi nell’esilio al punto che molti degli scritti che Brecht dedica al marxismo sono in realtà la trascrizione di brani del carteggio fra i due. Come scrive W. Rasch, il primo a studiare in profondità il rapporto tra Brecht e Korsch:

“Brecht sapeva esattamente ciò di cui aveva bisogno. Egli aveva bisogno di apprendere la concezione scientifica della società di K. Marx, senza assoggettarsi alla dittatura ideologica che Korsch denunciava senza mezzi termini”. 6

“Il teatro di Brecht – annota Chiarini – è animato da cima a fondo da un perenne e istituzionale pathos dialettico. La dialettica infatti è la categoria centrale di questo teatro: una categoria che mancava del tutto alla drammaturgia espressionista e che, presente in germe nella produzione giovanile di Brecht, si è però dispiegata in tutta la sua critica consapevolezza solo nel fecondo e quotidiano ripensamento del marxismo, che egli ha saputo intendere ed applicare in forma non dogmatica e chiusa, bensì profondamente spregiudicata e creativa. Nella sua dimensione più viva e drammatica: quella della ricerca”. 7

Una maturazione comprensibile solo alla luce dei rapporti che il poeta e drammaturgo ha instaurato a partire dal 1928 con Karl Korsch a cui in una lettera si rivolge in questo modo:

“La considero mio maestro; i Suoi lavori e la Sua amicizia personale significano molto per me… io discuto a lungo con Lei, nel mio cervello, tutti i punti controversi, prima di scrivere qualcosa”. 8

Nonostante le profonde differenze sul piano politico relativamente al giudizio sull’Unione Sovietica, di cui Brecht resta per tutta la vita un sincero ammiratore, 9 unisce i due un atteggiamento di profondo rispetto per la creatività e la forza che l’autonoma azione delle masse operaie è in grado di esprimere. Una massa, sia chiaro, che non si annulla mai nella folla, ma riesce sempre e comunque, nel bene e nel male, ad esprimere un complesso gioco di individualità. Sostanzia l’intera opera brechtiana una continua tensione fra coralità dei gesti e individualità delle scelte che riecheggia la visione korschiana dei consigli operai come espressione diretta dell’autonomia proletaria. Per Korsch, come per Brecht il comunismo è veramente “il movimento reale che sopprime lo stato di cose esistente”.



La polemica con Kautsky

Con la fine della militanza attiva, Korsch non si isola dalla poltica, ma continua in altra forma la sua battaglia per il comunismo. Inizia così una fase nuova della sua ricerca, incentrata su di una riflessione sistematica sulla sua esperienza. La sconfitta del movimento dei consigli in Germania, l’involuzione della rivoluzione russa costringono il pensiero critico a confrontarsi con la causa profonda della disfatta proletaria: la frattura tra teoria e prassi. Se nel 1923 in Marxismo e filosofia Lenin era visto come colui che superava tale frattura, restaurando l’originaria visione marxiana della rivoluzione come totalità, nel 1929 questa analisi non basta più. Ciò che è accaduto nel frattempo non permette visioni consolatorie. La distanza tra le affermazioni di Stato e rivoluzione e la concreta realtà sovietica è abissale. Il leninismo non solo non ha ricomposto la frattura fra teoria e prassi, ma l’ha ulteriomente dilatata. Nonostante l’Ottobre, contro il proletariato ormai si erge non solo il revisionismo teorico kautskiano, ma un apparato di Stato di una brutalità antioperaia mai vista.

Il 1929 rappresenta dunque un anno cruciale per lo sviluppo teorico di Korsch. E’ un periodo di intensa attività: in pochi mesi da alle stampe La concezione materialistica della storia e il primo dei due saggi sulla Comune di Parigi. Ma ciò che più conta è l’indirizzo nuovo assunto dalla sua ricerca. Se fino a quel momento la critica korschiana si era limitata ad investigare natura e ruolo dello Stato sovietico, ora essa investe direttamente il leninismo, ossia il pilastro ideologico del sistema. Ancora una volta la critica parte da lontano, dalle radici stesse del problema: il sistema teorico kautskiano. Come sottolinea Gian Enrico Rusconi, chiudendo la partita con il kautskismo, Korsch “crea gli strumenti analitici e teorici per la critica che politicamente gli sta più a cuore: la critica al leninismo-stalinismo”. 10 E questo perché “al di là delle poche ma esplicite battute su Lenin presenti nel testo, la logica stessa della tesi korschiana contiene i presupposti per la critica al leninismo che sarà sviluppata l’anno successivo (1930) nell’ Anticritica, per la seconda edizione di Marxismo e filosofia”. 11

Nel 1929, dunque, Korsch si accinge ad una radicale critica delle tesi esposte da Kautsky nella sua Die materialistische Geschichtsauffassung (La concezione materialistica della storia) apparsa nel 1927. Un “ampio e violento attacco”, come lo definisce Kolakowski, 12 su cui il giudizio della critica resta controverso andando dall’accusa di “mancanza di misura” 13 avanzata dallo studioso polacco Marek Wanderberg al più totale assenso di E. Matthias che utilizza quest’opera come base per il suo altrettanto discusso studio su Kautsky e il kautskismo. 14

Una posizione a se stante in questo dibattito è quella assunta da Wolfgang Abendroth per il quale non si può accusare “in modo indifferenziato” Karl Kautsky di aver sostituito l’evoluzione intesa come fede in un progresso privo di contraddizioni alla dialettica , riducendo così il marxismo a una teoria dell’evoluzione naturale. Questa tesi sarebbe giustificata solo per il Kautsky “degli ultimi anni” . In polemica con Matthias e altri studiosi dell’esperienza storica della socialdemocrazia tedesca, per Abendroth va denunciato come

“al seguito di Karl Korsch (…) queste tesi si sono trasformate nel dogma delle interpretazioni «occidentali» nel campo della critica dell’ideologia e degli studi sulla storia del partito, senza che i loro attuali sostenitori prendano in considerazione, da un punto di vista storico-politico e critico-ideologico, il motivo del loro sviluppo, la polemica contro l’ultimo Kautsky e i fondamenti del comunismo di sinistra di Korsch”. 15

Riprendendo il tema già sviluppato in Marxismo e filosofia della riduzione della dialettica marxista a materialismo volgare, Korsch non attacca tanto il riformismo di Kautsky, quanto il suo dichiarato darwinismo che lo porta a presentare il materialismo storico come l’applicazione alla storia dell’umanità dei presupposti generali dell’evoluzione organica e cioè, per usare le parole di Korsch, “delle leggi naturali operanti dappertutto nel cosmo”. 16 In realtà

“tra la sua posizione generale circa il metodo e la concezione del mondo e la corrispondente posizione circa il metodo e la concezione generale del mondo di Marx ed Engels esiste uno stridente contrasto, che nella sua forma più astratta si manifesta già nella rispettiva concezione di principio dello sviluppo nella natura e nella società. Kautsky in tutte le sue ricerche parte dall’ovvia premessa che la storia dello sviluppo naturale della specie, dai protozoi fino alla scimmia antropomorfa e all’uomo, costituisca la chiave per comprendere la società umana in tutte le fasi del suo sviluppo storico, dalla cosiddetta società primordiale senza classi e senza Stato fino all’odierna «società borghese» e al suo passaggio nella futura società socialista e comunista. (…) Invece Marx ed Engels, (…) si opposero sin dall’inizio con la critica più severa a tutta questa ingenua metafisica dello sviluppo (…) Non la natura organica e la storia del suo sviluppo in generale, e nemmeno la società umana nel suo generale sviluppo, ma la moderna «società civile» costituisce per loro la base reale da cui si possono comprendere materialisticamente tutte le anteriori forme storiche di società”. 17

    Karl Kautsky

Secondo Korsch, Kautsky concepisce il marxismo come una “dottrina puramente scientifica”che non ha più alcun rapporto reale con il proletariato, una scienza libera da giudizi di valore e dunque obiettiva. Il che significa privare il marxismo dell’intera sua carica rivoluzionaria e ritornare a metodi e concezioni proprie del pensiero borghese. Un’evoluzione dal revisionismo travestito da «ortodossia» al puro e semplice abbandono dei principi rivoluzionari marxiani che non rappresenta

“un mutamento della sua posizione teorica nei confronti del marxismo, ma solo una conseguenza del fatto storico esterno che, con l’inasprirsi delle lotte di classe del periodo bellico e postbellico, anche nell’ambito della teoria marxista tutte le questioni rivoluzionarie sono state poste all’ordine del giorno in modo chiaro e più deciso”. 18

Korsch chiarisce come il concetto centrale della concezione materialistica della storia sia rappresentato dal concetto di sviluppo, inteso in un triplice senso. Come pensiero (dialettica),come divenire (in natura e società) e come azione (lotta di classe). Ora a livello di pensiero Kautsky sostituisce la dialettica marxista con una epistemologia ripresa da Mach fondata sul concetto di “adeguazione del pensiero ai fatti” e di “adeguazioni dei pensieri l’uno all’altro”. Di conseguenza la visione marxiana dello sviluppo sociale come soggettiva azione storica, attività rivoluzionaria critico-pratica, diventa per Kautsky mero “oggettivo sviluppo storico nella natura e nella società”. 19
Ciò che Kautsky spaccia per dialettica della natura non è nient’altro che la semplice applicazione alla storia della teoria darwiniana dell’adattamento che vede l’uomo come un animale sottomesso alle leggi di evoluzione delle specie. Marx ed Engels, ricorda Korsch, non si sono mai trasformati in semplici naturalisti, mentre per Kautsky il divenire è regolato da immutabili ed eterne leggi di natura che schiacciano sotto il loro peso l’azione autonoma dell’uomo concreto, dell’uomo sociale eliminando dalla storia la possibilità stessa di rivoluzione come collettivo e cosciente agire umano.

In conclusione, Kautsky sostituisce al materialismo dialettico di Marx

“il comunissimo materialismo naturalistico che, sorto nell’epoca borghese dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese – cioè nei secoli XVII e XVIII – e filosoficamente restaurato nel XIX secolo in primo luogo da Feuerbach, dopo la «confusione» temporaneamente arrecata dalla filosofia idealistica tedesca, da Kant a Hegel, ha celebrato poi i suoi trionfi particolarmente nel «darwinismo» e nelle altre scienze naturali. 20

Non si tratta di una semplice questione filosofica, ma di un’operazione dalle profonde implicazioni politiche. Consapevole o no che ne sia Kautsky, questo concetto di sviluppo ispirato alle scienze della natura fornisce il fondamento teorico alle sue idee “pacifistico-evolutive” dell’agire politico. La storia non è più storia degli uomini, ma dello Stato: un lungo processo attraverso cui lo Stato è andato via via liberandosi della sua originaria carica di violenza per divenire, nella moderna società capitalistica, Stato democratico dove non c’è più necessità e dunque spazio per la violenza, neppure per quella degli oppressi. Un processo verso “una libertà sempre crescente”, così si esprime Kautsky, “di cui non si riesce a vedere la fine” che “rende superflui gli eserciti”, riduce i poliziotti e aumenta gli insegnanti elementari. 21

E tutto questo a pochi anni dall’avvento al potere del nazismo, dell’avvio della “soluzione finale” della questione ebraica e dell’immenso macello rappresentato dal secondo conflitto mondiale ! Certo, Kautsky non vive fuori dal mondo, egli riconosce che in pratica “il progresso della democrazia è stato accompagnato da un continuo ampliamento degli eserciti e da un ininterrotto aumento del loro armamento e pertanto anche da un costante incremento e rafforzamento dell’apparato militare” cosi come si dichiara consapevole del fatto che i trattati di pace stipulati alla fine della guerra mondiale costituiscono “una notevolissima materia di conflitto tra alcuni degli Stati moderni”. Ma ciò è dovuto alla politica imperialistica del grande capitale, vera escrescenza monopolistica e finanziaria del capitale industriale. 22

Una teoria che per Korsch rappresenta l’ultima manifestazione del radicalismo borghese liberal-democratico:

“Come Kautsky già a proposito dell’origine del moderno Stato capitalistico sostiene una teoria che, presentando lo Stato schiavistico e lo Stato feudale come il risultato della nuda violenza armata, sbocca inevitabilmente e contemporaneamente in una apologia indiretta e alla fine anche diretta del capitalismo industriale e del suo Stato, così anche la sua concezione dell’essenza e delle tendenze di sviluppo dello stato odierno finisce col dare un appoggio ideologico e pratico alla lotta di concorrenza che oggi in ogni Stato capitalistico e su scala internazionale la frazione economicamente più debole dei capitalisti, come partito liberale-radicale e democratico, cerca di condurre in campo politico insieme col seguito degli strati piccolo-borghesi e di una parte degli strati proletari contro la frazione economicamente più forte della classe capitalistica. Il fatto che Kautsky tenga erroneamente in alta considerazione gli ideali democratico-borghesi protocapitalistici e che su questa base conduca la lotta contro i monopoli, il capitale finanziario, l’imperialismo, il militarismo, ecc., ad un’analisi critica si smaschera come il semplice travestimento ideologico delle lotte di concorrenza tra le diverse frazioni della «classe capitalistica sempre unita contro il proletariato»”. 23

Proprio in questo radicalismo borghese, tendenza nuova apparsa all’inizio del secolo in reazione alla maturazione imperialistica del capitalismo, si colloca il punto di raccordo fra la vecchia ortodossia kautskiana e la nuova ortodossia leninista:

“La venatura radicale-borghese da noi rilevata nell’atteggiamento di Kautsky di fronte alle «escrescenze monopolitistiche, capitalistico-finanziarie ed imperialistiche» è il segno distintivo caratteristico di quella particolare tendenza che al principio del XX secolo è apparsa all’interno di tutto il movimento socialdemocratico, particolarmente in Germania ed Austria, e che dal momento della scissione dei partiti socialdemocratici durante la guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra di solito è stata designata come «Centro marxista», al quale appartiene come ultimo particolare rampollo, malgrado le grandi differenze nei dettagli, anche il bolscevismo leniniano così nel suo sviluppo prebellico (cosa piuttosto incontestabile) come pure nel suo sviluppo successivo (il che attualmente viene ancora contestato in modo piuttosto deciso da entrambe le parti in causa); sviluppo che è stato provvisoriamente interrotto mediante la temporanea alleanza dei bolscevichi con i radicali di sinistra nel periodo della guerra e della rivoluzione – 1914-1921 – ma, che non è stato deviato in modo duraturo dalla sua tendenza fondamentale”. 24

Siamo ad un punto cruciale dell’intera ricerca korschiana. Nella critica radicale dell’ultimo frutto teorico dell’ortodossia kautskiana Korsch trova finalmente quel punto d’appoggio teorico su cui far leva per sviluppare in profondità una critica materialistica del leninismo, rielaborando nella forma compiuta dell’ Anticritica che apparirà l’anno successivo quelle intuizioni eretiche già presenti in nuce in Marxismo e filosofia che l’occhio addestrato dei censori aveva saputo immediatamente cogliere e denunciare.



1 Sulla formazione del partito nazista cfr. W.L. SHIRER, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1974 (IV ed). Sulla componente operaia del nazismo, tanto enfatizzata dagli storici revisionisti, cfr. S. BOLOGNA, Nazismo e classe operaia 1933-1993, Manifestolibri, Roma 1996.
2 G.E. RUSCONI, Contro Kautsky contro Lenin, introduzione a K. KORSCH, Il materialismo storico, Laterza, Bari 1971, p. XXXVI.
3 Casa editrice di sinistra vicina all’Institut für Sozialforschung di Francoforte.
4 H. KORSCH, cit., pp. 13-14.
5 Sui rapporti fra Brecht e Korsch e sull’influsso di questi sull’opera del drammaturgo tedesco cfr. D.KELLNER, Brecht’s Marxist Aesthetic, consultabile sul sito www.uta.edu/huma/illuminations/kell3.htm.
6 W. RASCH, B. Brechts marxistischer Lehrer, in «Merkur», n. 188, ottobre 1963. La citazione è ripresa in G.E. RUSCONI, Teoria e azione rivoluzionaria in K. Korsch, in L. LABEDZ, cit., p. 315.
7 P. CHIARINI, Bertold Brecht, Laterza, Bari 1959, p. 27.
8 G.E. RUSCONI, cit., p. 315
9 Un esempio fra tutti. In una lettera del giugno 1939 all’amico Partos, Korsch esprime il disagio che gli provoca l’incoerenza fra il carattere libertario dell’opera di Brecht e la sua conformistica fedeltà alla linea comunista ufficiale: “Di Brecht ho visto recentemente non solo un buon inizio di un romanzo su Gli affari del signor Giulio Cesare, bensì anche – e soprattutto – un nuovo, straordinario, dramma teatrale, già tutto pronto ma non ancora stampato, su «La vita di Galilei». Un colpo veramente grosso; un grande tema e alla fine l’incomparabile nettezza brechtiana della negazione. Benché solo raramente la gente conformi la propria vita privata alle proprie convinzioni generali, dopo questa rappresentazione del Galilei, non riesco ad immaginare che Brecht possa continuare a rimanere così fedele alla linea. Non gli ho più scritto da tempo, praticamente dal mio arrivo negli USA, ma ho intenzione di rompere questo lungo silenzio.” (K. KORSCH, Lettera a Partos del 12.6.1939, in Marxiana 2, Bari 1976, p. 178.
10 G.E. RUSCONI, Contro Kautsky…, cit., p. X.
11 Ivi, p. IX.
12 L. KOLAKOWSKI, cit., p. 280. Per questo autore la critica di Korsch a Kautsky che “non solo non possiede alcuna forza argomentativa, ma neanche alcun contenuto concreto ed è soltanto una mera ripetizione della sua interpretazione del marxismo”, rappresenta “un esempio tipico di criticismo comunista” (Ivi, p. 289). Una critica sbrigativa, sicuramente condivisa dalle torme di intellettuali disinvoltamente transitati in questi anni dal togliattismo al neo-liberismo berlusconiano.
13 M. WALDERBERG, cit., p. 5.
14 E. MATTHIAS, Kautsky e il kautskismo, De Donato, Bari 1971.
15 W. ABENDROTH, cit., p. 43.
16 K. KORSCH, Il materialismo storico, cit., p. 29.
17 Ivi, pp. 35-37.
18 Ivi, p. 7.
19 Ivi, pp. 25-26.
20 Ivi, p. 40.
21 Ivi, pp. 87 e sgg.
22 Ivi, pp. 89-90. Il lettore attento riconoscerà qui la radice teorica autentica della cultura “antimonopolistica” e “antimperialistica” del PCI e di gran parte dell’estrema sinistra post-sessanttotto, così come di quella teoria dello “Stato imperialista delle multinazionali” ultimo stadio dell’antimonopolismo e base del “riformismo armato” delle Brigate Rosse.
23 Ivi, pp. 90-91.

24 Ivi, p. 92.