TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 5 ottobre 2017

6. Karl Korsch, Marxismo e filosofia



Qualche anno fa, uscì per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco. Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne riproponiamo il contenuto. Oggi presentiamo il quinto capitolo relativo a Marxismo e filosofia e alla conseguente condanna per eresia.

Giorgio Amico

Marxismo e filosofia. La riscoperta di Hegel

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il 1923 rappresenta un anno fondamentale nella evoluzione politica e nella vita di Korsch e non solo per quello che gli accade – la nomina a professore universitario, l’incarico di governo in Turingia, il periodo di forzata clandestinità – o accade attorno a lui dalla mancata insurrezione proletaria alla normalizzazione manu militari dell’intricata situazione politica tedesca. In quell’anno egli compone e pubblica Marxismo e filosofia, il libro destinato ad assicurargli per sempre un posto importante nella storia del marxismo. Un libro sintetico e scarno che, in meno di un centinaio di pagine di non facile lettura, si interroga sul rapporto marxismo-filosofia, un tema diventato tabù per i marxisti della Seconda Internazionale in nome di un marxismo, scienza della società, assimilabile epistemologicamente alle scienze della natura. 1 Un marxismo positivistico, quello della Seconda Internazionale, parlamentaristico e gradualista sul piano politico, rozzamente scientistico e determinista su quello teorico e proprio per questo secondo Korsch del tutto incapace di afferrare come

“per Marx la conoscenza ‘materialistica’ dello sviluppo sociale in contrasto con la conoscenza materialistica della natura, è consistita sin dall’inizio non già nella comprensione puramente teorica di qualcosa di esistente nella forma dell’oggetto o della concezione, bensì sempre in pari tempo nell’attività soggettiva, umano-sensibile, pratica-critica, cioè, nell’attività «rivoluzionaria»”. 2

Ne consegue che la coscienza non è un mero “riflesso” del movimento sociale, ma parte integrante di questo cosicchè la rivoluzione non può essere intesa che come “totalità vivente”. 3 Di questo Marx ed Engels sono debitori ad Hegel, “il massimo pensatore che la società borghese abbia prodotto nella sua epoca rivoluzionaria”, per il quale la ‘rivoluzione nella forma del pensiero’, cioè la filosofia, è una “componente reale dell’effettivo processo sociale rivoluzionario complessivo”. 4 La grandezza rivoluzionaria di Hegel consiste proprio in questa consapevolezza: nell’aver compreso che la filosofia non è una semplice riflessione “a posteriori” sulla realtà, ma “la sua epoca espressa nel pensiero”. Il marxismo non può, dunque, essere considerato una concezione “scientifica” della storia e della società, elaborata in un qualche laboratorio politico al di fuori della realtà concreta della lotta di classe in cui essa verrebbe poi calata dall’esterno per “illuminare” le masse operaie.

Il proletariato non è, dunque, la forma in cui si manifesta nella società borghese “l’astuzia della ragione”. I proletari, in quanto movimento reale, uomini concreti chiamati a fare e non a subire la storia, sono essi stessi parte integrante, carne e sangue, della teoria rivoluzionaria. “In termini hegeliano-marxisti, - ricorda Korsch - il sorgere della teoria marxista è solo ‘l’altra faccia’ del sorgere del reale movimento proletario di classe; solo se presi assieme i due lati formano la totalità concreta del processo storico”. 5

In questa concezione la coscienza non è un semplice riflesso del processo storico in atto, ma ne è il vero agente di trasformazione. Il problema vero, pratico è che il marxismo dopo Marx ha smarrito la coscienza di questa totalità. Si è via via sempre più involgarito, semplificato, appiattito su di uno scientismo tanto pretenzioso quanto inconcludente, mostrandosi del tutto incapace di afferrare la complessità dello stato di cose esistente. Un socialismo “scientifico” diventato mera sommatoria di conoscenze scientifiche positive, ormai sganciato dalla lotta di classe di cui non sa più comprendere le dinamiche profonde.

Korsch sembra, dunque, ritenere che la comparsa dell’economicismo nel marxismo della Seconda Internazionale si spieghi proprio col fatto che Hilferding e gli altri “hanno concepito la soppressione della filosofia come sostituzione di quest’ultima con un sistema di scienze positive astratte e non dialettiche” 6 e si sono in tal modo preclusi ogni possibilità di una comprensione della realtà come “attività pratica, come attività sensibile umana”. 7 D’altronde per Korsch il pensiero rivoluzionario del giovane Marx, “questa prima forma fenomenica della teoria marxista”, non poteva mantenersi integro “nel corso del lungo periodo, praticamente non rivoluzionario, che in fondo in Europa si è protratto per tutta la seconda metà del XIX sexolo”. 8

Una critica lucida e coerente del marxismo dopo Marx di cui molti critici, anche autorevoli, non sono riusciti a cogliere a pieno la ricchezza e la profondità. Pensiamo a Lubomír Sochor, autore di un più complessivo studio sul marxismo critico degli anni Venti, per il quale Marxismo e filosofia “non costituisce una trattazione sistematica, ma è piuttosto un insieme di considerazioni, per lo più solo abbozzate e molto spesso poco elaborate, sebbene ricche di idee stimolanti”. 9 Ma anche, su di un altro piano, a Christian Riechers, secondo cui gli scritti di Korsch e Lukács appaiono “stranamente apolitici”. 10 La natura ben più ricca dell’opera viene efficacemente messa in luce da Paul Mattick in un suo scritto dei primi anni Sessanta

“Questa attenzione nuova che Korsch rivolge al rapporto marxismo-filosofia non deriva minimamente da un particolare interesse per la filosofia. Essa esprimeva piuttosto il bisogno, il desiderio di alleggerire il marxismo di allora dalle sue scorie ideologiche e dogmatiche. Era la conseguenza teorica della nuova tendenza rivoluzionaria liberata dalla guerra e dalla rivoluzione”. 11


Un compito pratico

Quando si risolve a scrivere il suo libro, riprendendo e ampliando alcuni scritti dei primi mesi del 1922 sul materialismo storico e la dialettica marxiana, Korsch è pienamente consapevole di accingersi ad una battaglia tutta politica in strettissimo collegamento “con le lotte del tempo”: 12 la prima guerra mondiale, la rivoluzione russa, la sconfitta e il crollo delle potenze centrali (Germania e Austria). In una parola col riemergere sulla scena europea del vecchio “spettro” del comunismo. Posto di fronte ai compiti dell’ora, il marxismo come scienza del divenire storico ha mostrato impietosamente tutti i suoi limiti e si è rivelato incapace, proprio perché non più dialettico, di prendere posizione sui temi all’ordine del giorno: la presa del potere, la dittatura del proletariato, l’estinzione finale dello Stato nella società comunista. Non basta, dunque, limitarsi, come pure fanno molti dirigenti del Comintern e della stessa KPD, a individuare le cause di questa situazione critica nella vigliaccheria o nell’assenza di spirito rivoluzionario di questo o quel dirigente o teorico della socialdemocrazia. Un tentativo del genere non porterebbe lontano, si resterebbe infatti su di un piano superficiale, non marxista e materialista. Divampata nell’Oriente “arretrato”, la rivoluzione proletaria non si è allargata all’ Occidente “avanzato”. La “vecchia talpa”, riapparsa dove meno la si attendeva, con la sua stessa ingombrante presenza interroga ironica i marxisti e li riprendere in esame l’intera evoluzione del marxismo. 13

Ora, applicare la concezione materialistica della storia al marxismo stesso - questo in estrema sintesi il compito pratico che si pone Korsch –significa mettere a nudo l’opposizione tra teoria e pratica che contraddistingue il marxismo dell’epoca in entrambe le sue versioni, quella revisionistica di Bernstein e quella ortodossa di Kautsky. Infatti, come avevano già compreso Rosa Luxemburg e Lenin, il revisionismo bernsteiano - ma lo stesso vale per il marxismo ortodosso del “papa rosso” Karl Kautsky con cui in realtà Lenin esiterà a lungo a fare i conti 14 - registra a livello teorico la trasformazione in senso riformistico della lotta economica dei sindacati e di quella politica dei partiti operai nelle mutate condizioni storiche della fase imperialista del capitalismo. In questo quadro

“La teoria globale unitaria della rivoluzione sociale è stata trasformata in una critica scientifica dell’ordinamento economico borghese e dello Stato borghese, dell’istruzione pubblica, della religione, dell’arte, della scienza e di tutte le altre espressioni culturali della borghesia, in una critica che non sfocia più necessariamente, per la sua stessa essenza, in una prassi rivoluzionaria”, ma “può sfociare altrettanto facilmente, come di solito avviene nella sua prassi reale, in ogni sorta di aspirazioni riformistiche che per principio non vanno oltre l’ambito della società borghese e del suo Stato”. 15

La soluzione del problema posto dalla crisi del marxismo non può, tuttavia, consistere in un semplice ritorno al passato di una teoria restaurata nella sua purezza. E d’altronde, che la forma non abbia alcun valore, se non è la forma del contenuto, è Marx stesso a chiarirlo in un suo scritto giovanile. 16

“Se dunque il partito teorico – chiarisce Korsch con un diretto riferimento alla marxiana Critica della filosofia del diritto di Hegel – crede di ‘poter realizzare (praticamente) la filosofia senza sopprimerla (teoricamente)’, il partito pratico commette un errore altrettanto grave quando tenta di sopprimere (praticamente) la filosofia senza realizzarla (teoricamente), vale a dire senza comprenderla in quanto realtà”. 17

Ciò che occorre per garantire tale superamento è un “ulteriore sviluppo dialettico”, la ridefinizione dall’interno dello scontro di classe di “ una teoria della rivoluzione sociale che abbracci tutti gli ambiti della vita sociale in quanto totalità”. 18 In una parola: il riappropriarsi del materialismo storico come “teoria della rivoluzione proletaria”. 19 Proprio il riapparire sulla scena della rivoluzione comunista pone nuovamente con forza la grande questione del rapporto tra rivoluzione proletaria e ideologia, già a suo tempo risolta dal giovane Marx nelle sue Tesi su Feuerbach. Occorre, pertanto, superare un approccio alla filosofia in termini esclusivamente negativi come semplice riflesso della realtà vera, “oggettiva” delle strutture economico-sociali. Già Marx aveva messo in guardia contro questo materialismo volgare che considera gli uomini come semplici “prodotti dell’ambiente e dell’educazione” , dimenticando che sono gli uomini che fanno la storia e che l’essere umano altro non è che “l’insieme dei rapporti sociali”, con l’effetto di giungere “necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società”. 20 Proprio in questo consiste la differenza fra il materialismo dialettico di Marx ed Engels e il piatto materialismo deterministico delle scienze borghesi diventato patrimonio della maggioranza dei teorici marxisti che:

“invece di comprendere, accanto al processo della vita sociale e politica, anche quello spirituale, accanto all’essere e al divenire sociale in senso lato (come economia, politica, diritto, ecc.) anche la coscienza sociale nelle sue differenti forme fenomeniche come componente reale, anche se ideale ( o ‘ideologica’) della realtà sociale complessiva, […] definiscono ogni forma di coscienza in termini del tutto astratti, e in fondo addirittura dualistici e metafisici, come riflesso del tutto dipendente o solo parzialmente indipendente, ma in ultima analisi sempre come riflesso dipendente del processo materiale di sviluppo, il solo cui attribuiscano un’effettiva realtà”. 21



La concezione materialistica della storia

Non è tanto la filosofia in se, dunque, che interessa Korsch, quanto la riscoperta della dialettica come fondamento di un marxismo capace di diventare prassi, di contro ad un materialismo rozzo, puramente descrittivo. Proprio sulla base di queste affermazioni Marxismo e filosofia, come vedremo, sarà accusato di idealismo. In realtà, l’importanza attribuita da Korsch alla funzione attiva dell’ideologia risponde alla necessità, impellente in una fase rivoluzionaria, di comprendere le motivazioni profonde dell’agire sociale affinchè il proletariato nel suo insieme, come classe, sia posto in condizione di agire quale soggetto essenziale, primario, e non considerato quale un “passivo oggetto di direzione”. 22

Questo in sostanza significa applicare la concezione materialistica della storia a se stessa, in una visione “assolutamente adogmatica e antidogmatica, storica e critica e quindi materialistica” del marxismo. 23 Ora, come acutamente nota Richard Gombin, il materialismo meccanicistico di Lenin comporta la totale separazione di essere e coscienza, facendo dell’uno il riflesso dell’altra e di conseguenza negando la possibilità di una coscienza di classe non prodotta in qualche modo dal partito in quanto interprete delle leggi del socialismo scientifico. Una tale concezione non solo nega ogni dialettica dei processi sociali, ma si risolve “in ultima analisi, in un semplice determinismo causale, immagine esatta delle concezioni positiviste della seconda metà del XIX secolo. Permette di enunciare leggi eterne (dogmi) e non ammette che la loro accettazione o il loro rifiuto in blocco. Qui dunque si trova in potenza il totalitarismo ideologico e agli eredi di Lenin basterà portare alle loro conseguenze le proposizioni contenute in questo «marxismo ortodosso». 24 Lungi dall’essere irrilevante ai fini della prassi rivoluzionaria, ristabilire il corretto rapporto fra marxismo e filosofia, fissato nelle opere giovanili di Marx e d Engels e ripreso poi un po’ in tutta l’intera loro opera successiva, rappresenta, dunque, una vera e propria priorità per il partito proletario se si vuole sfruttare la nuova ondata rivoluzionaria che da tanti segnali pare imminente:

“Così come l’azione economica della classe rivoluzionaria non rende superflua l’azione politica – scrive Korsch a conclusione del suo saggio – anche l’azione che è economica e politica ad un tempo non rende superflua l’azione ideale: questa deve piuttosto essere portata avanti fino alla fine sul piano pratico e teorico, come critica scientifica rivoluzionaria e attività di agitazione prima della presa del potere da parte del proletariato, e come attività scientifica di organizzazione e dittatura ideologica dopo la conquista del potere”. 25

Diretta contro la rigida ortodossia dei teorici socialdemocratici che avevano sclerotizzato il marxismo trasformandolo da teoria critica a dogmatica concezione del mondo l’opera entra immediatamente in rotta di collisione non solo con il kautskismo, ma anche con la nuova ortodossia “leninista” della Terza Internazionale. Korsch è, come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel pieno della sua fase “leninista” ortodossa. Ma il Lenin che egli conosce è quello dell’internazionalismo intransigente delle conferenze di Zimmerwald e Kienthal, della condanna irrevocabile del “rinnegato Kautsky”, di Stato e rivoluzione e di “tutto il potere ai Soviet”. Non sappiamo quanto a fondo egli conoscesse realmente la lunga e complessa storia del bolscevismo. Ci viene di pensare, rifacendoci alle contemporanee esperienze di Bordiga e Gramsci, che questa conoscenza non andasse in realtà molto al di là di quanto spesso in modo frammentario e superficiale era apparso sulla stampa del Comintern. 26

Comunque sia, di certo egli in quel momento sottovaluta come, al di là della dura condanna politica del revisionismo della Seconda Internazionale pronunciata all’indomani dello scoppio della prima guerra mondiale e del cedimento della socialdemocrazia al socialpatriottismo, sul piano teorico Lenin e i bolscevichi non avessero nei fatti mai reciso veramente il cordone ombelicale che li legava al greve materialismo deterministico di Plechanov e Kautsky. Basterebbe pensare al Che fare? o alle tesi sostenute da Lenin nel corso del secondo congresso del POSDR nel 1903 per vedere come parte rilevante degli elementi fondanti del bolscevismo si collochino all’interno del quadro teorico del marxismo ortodosso della Seconda Internazionale. 27

Partito da una critica del marxismo volgare della Seconda Internazionale, Korsch finisce, quasi senza volere, per contrapporsi al leninismo “proprio sulla questione se sia possibile elaborare una logica dialettica materialistica intesa come una specie di ‘nuovo organo’ di tutte le scienze, ossia come una scienza pura del metodo”. 28 Egli non conosce ancora Materialismo ed empiriocriticismo, di cui solo alla fine degli anni Venti uscirà la prima edizione tedesca, ma è evidente che la critica del materialismo volgare premarxiano contenuta in Marxismo e filosofia investe direttamente ogni interpretazione della conoscenza come rispecchiamento, compresa quella di Lenin. 29 Contro ogni forma di dogmatismo o di feticismo teorico, Korsch si ancora saldamente alla critica marxiana del materialismo di Feuerbach. Per Marx

“La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La discussione sulla realtà o non realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica”. 30

“Non è una lunga discussione teorica- scrive Korsch riprendendo quasi alla lettera Marx– che può decidere se un metodo scientifico sia giusto o errato; la verifica definitiva si ha sempre soltanto mettendo ‘praticamente’ alla prova il metodo stesso […] Tutte le ‘verità’ umane sono piuttosto, come l’uomo pensante che le ha in testa, un prodotto, e a differenza dei cosiddetti puri ‘prodotti della natura’ […] sono un prodotto umano. Esse sono dunque, esprimendoci in termini più precisi, un prodotto sociale, generato assieme ad altri prodotti dell’attività umana, attraverso l’attività collettiva e la divisione del lavoro, nelle condizioni naturali e sociali di produzione di una determinata epoca della storia della natura e dell’umanità”. 31

Ne consegue che nessuna teoria può considerarsi “vera” in se, descrizione esatta del mondo o, se si vuole, riflesso “scientifico” della realtà esistente. 32 Il marxismo è «scientifico» non perché riproduce i canoni epistemologici delle scienze della natura, come in qualche passo sembra ritenere anche l’ultimo Engels, bensì in quanto teoria della rivoluzione sociale intesa e applicata come totalità vivente, come prassi rivoluzionaria. La dialettica marxista differisce da quella hegeliana proprio nel suo essere “dialettica materialistica” del proletariato che – ammonisce Korsch:

“non può essere insegnata astrattamente o servendosi di cosiddetti esempi, come se si trattasse di una ‘scienza’ particolare, dotata di un oggetto particolare. La si può soltanto applicare concretamente, nella prassi della rivoluzione proletaria e in una teoria che è una componente immanente e reale di questa prassi rivoluzionaria”. 33

In un passo famoso del suo libro Korsch paragona la teoria marxista della società alla teoria della guerra di Clausewitz, il quale considerava la teoria della guerra come parte della guerra stessa, non materia di studio astratto. La dialettica non è dunque semplicemente un metodo applicabile sempre e comunque o, peggio ancora, riassumibile in un corpo di tesi che possono essere astrattamente apprese. Come espressione del movimento rivoluzionario del proletariato la dialettica marxista rappresenta un elemento stesso di questo movimento e non una semplice teoria.

Ne deriva un radicale relativismo epistemologico che, contestando la visione ortodossa del marxismo come teoria delle leggi dello sviluppo sociale e identificandolo invece con la coscienza di classe del proletariato rivoluzionario, nei fatti ne nega ogni verifica al di fuori della reale prassi sociale. Una concezione inaccettabile non solo per la socialdemocrazia, ma anche e forse ancora di più per i partiti comunisti in piena “bolscevizzazione”.

    Lenin

La condanna per eresia

Quando scrive Marxismo e filosofia Korsch pensa di essere sotto tutti i punti di vista un coerente interprete di Lenin alla cui autorità esplicitamente si rifà, ricordando come proprio il leader bolscevico avesse invito il partito ad uno studio sistematico della dialettica hegeliana. Era stato, infatti, proprio Lenin a dedicarsi per primo negli anni della guerra allo studio della filosofia hegeliana, ritenendola a tal punto fondamentale per la stessa comprensione del marxismo da annotare nei suoi quaderni:

“Non si può comprendere perfettamente il Capitale di Marx e particolarmente il primo capitolo, se non si è compresa e studiata attentamente tutta la Logica di Hegel. Di conseguenza, mezzo secolo dopo, nessun marxista ha compreso Marx!!” 34

Certo, questo aforisma così estremo nella sua concisione non era, come il resto dei materiali raccolti nei Quaderni filosofici, ancora conosciuto agli inizi degli anni Venti quando Korsch (e Lukács) si accingono a scrivere le loro opere. Ma in un articolo del 12 marzo 1922 su Il significato del materialismo militante, Lenin aveva sviluppato in forma più ampia questo concetto, trasformandolo in un’indicazione politica. Nella raccomandazione ai quadri del partito di “organizzare uno studio sistematico della dialettica di Hegel dal punto di vista materialista”, perché “senza porsi e assolvere questo compito, il materialismo non può essere un materialismo militante”. 35

Nella redazione di Marxismo e filosofia Korsch si rifà proprio a questa raccomandazione del leader bolscevico, tanto da porla per esteso in epigrafe al suo scritto. Egli si considera perfettamente in linea con le posizioni ufficiali del partito, confortato anche dal fatto che Marxismo e filosofia circoli da più di un anno senza aver suscitato particolari reazioni negative. Korsch sottovaluta il carattere elitario di questo dibattito che coinvolge soprattutto l’ambiente intellettuale vicino alla neocostituita Scuola di Francoforte In un lavoro sulla storia dell’Istituto Wittfogel ricorda Korsch come membro importante del gruppo. Per il futuro studioso del modo di produzione asiatico Korsch avrebbe svolto un ruolo fondamentale all’interno dell’Istituto nei suoi primi anni. È una tesi smentita recisamente da altri membri che sostengono che il filosofo, pur partecipando alla vita dell’Istituto, vi avrebbe svolto un ruolo tutto sommato secondario. Martin Jay è d’accordo con questa seconda versione che riprende nella sua opera sulla Scuola di Francoforte:

“Effettivamente Korsch partecipò ad alcuni seminari dell’Istituto e scrisse occasionalmente delle recensioni per la rivista prima e dopo l’emigrazione, ma non gli fu mai offerto di diventare membro a tempo pieno”. 36

Sarà l’intensificarsi dello scontro frazionistico nel partito tedesco e nell’Internazionale, così come la contemporanea uscita di Storia e coscienza di classe dell’ungherese Lukács, a determinare una situazione completamente nuova. Assimilato al filosofo ungherese, come esponenti di una organica tendenza internazionale, Korsch si trova sottoposto ad un vero e proprio processo per eresia.

Per Zinov’ev Korsch assieme a Lukács e all’italiano Antonio Graziadei che poco prima aveva pubblicato un libro che criticava la teoria marxista del valore, rappresenta una nuova forma di revisionismo, un marxismo dei “professori” che mina alle radici la dottrina leninista. Una condanna generica e priva di motivazioni concrete. Zinov’ev poteva permetterselo. Nel 1924 il clima interno al “partito mondiale della rivoluzione” è tale da rendere inutile quella parvenza di democrazia e di libero confronto che Lenin in qualche modo aveva tollerato nei primi quattro congressi. Ormai al dibattito si sostituisce la scomunica, alle argomentazioni gli insulti e i sarcasmi. Qualche storico dubita persino che Zinov’ev avesse effettivamente letto i libri dei tre malcapitati “professori”. Non ci sarebbe nulla da stupirsi: la storia successiva dell’Internazionale avrebbe mostrato ben di peggio. Ma torniamo alla requisitoria di Zinov’ev:

“Se dobbiamo seguire – si legge in un resoconto stenografico della seduta – il leninismo non solo formalmente… noi non dobbiamo permettere che questa tendenza di estrema sinistra divenga un revisionismo teoretico… che si diffonda e diventi un fenomeno internazionale. Il compagno Graziadei… ha pubblicato un libro… in cui attacca il marxismo. Non si può lasciare passare impunito questo revisionismo teoretico. E neppure tollereremo il nostro compagno ungherese Lukacs, che fa lo stesso nel campo della filosofia e della sociologia… Ritroviamo una tendenza simile nel partito tedesco. iL compagno Graziadei è un professore; anche Korsch è un professore. (Interruzione: “anche Lukacs è un professore!”). ancora un po’ di questi professori a tessere le loro teorie marxiste e saremo perduti. Non possiamo tollerare… un revisionismo teoretico di questo genere nella nostra Internazionale Comunista”. 37

“Cominciava così a manifestarsi – commenta a questo proposito Predrag Vranicki - quello spirito che sarebbe poi divenuto tipico per la III internazionale, la tendenza cioè a subordinare anche l’attività teorica, scientifica, artistica alla guida dell’apparato dirigente del partito”. 38

    Gyorgy Lukacs

Korsch e Lukács

La condanna del Quinto Congresso dell’Internazionale Comunista di Karl Korsch e György Lukács ha ingenerato in molti studiosi il convincimento superficiale di una quasi totale identità fra i due filosofi che vengono citati sempre uno accanto all’altro, con Korsch solitamente relegato in una posizione più subalterna, quasi a fare da spalla al più illustre collega. In realtà le cose non stanno così e il voler a tutti i costi considerare Korsch come una fotocopia per giunta sbiadita di Lukacs rappresenta un modo schematico di impostare il problema e di fatto riprende senza accorgersene la rozza forzatura polemica presente nel discorso di Zinov’ev al Quinto Congresso. Esistono, tuttavia, numerosi punti di contatto fra questi due protagonisti del dibattito marxista nei primi anni Venti. E' lo stesso Korsch a riconoscerlo nel suo famoso poscritto alla prima edizione di Marxismo e filosofia:

"Solo mentre scrivevo questo saggio è apparso il libro di György Lukács, Storia e coscienza di classe. Per quanto ho potuto constatare fino a ora, non posso che approvare con gioia le esposizioni dell'Autore fondate su una più larga base filosofica, che spesso toccano questioni che ho posto in questo mio saggio. Sulle divergenze marginali che potrebbero ancora sussistere nel contenuto e nel metodo, mi riprometto di prendere posizione in futuro". 39

Per Korsch nel 1923 si tratta dunque di differenze "marginali": le questioni affrontate sono le stesse, non dissimili le conclusioni. La diversità tra i due scritti sembra semmai consistere nella più articolata base filosofica su cui poggia l'opera del filosofo ungherese. Le cose non stavano così. Come acutamente nota Salvadori in un passo della sua Storia del pensiero comunista, che riportiamo integralmente condividendolo pienamente:

“Effettivamente vi era tutta una parte dell’analisi di Lukács che poteva essere assimilata a quella di Korsch; ma ve ne era un’altra che se ne discostava in modo niente affatto irrilevante (il che non apparve chiaro a Korsch) e che ne sta a spiegare anche il diverso sviluppo dei due teorici e anzitutto il loro differente atteggiamento di fronte alla condanna ricevuta. […] In Storia e coscienza di classe vi era tutta una dimensione teorica che in realtà allontanava profondamente Lukács da Korsch. In primo luogo la diversità derivava dal differente atteggiamento di fronte al partito, in corrispondenza di una non omogenea concezione della sua funzione. Korsch restò molto più segnato dall’idea che il proletariato fosse il vero soggetto della prassi rivoluzionaria. Per contro Lukács era - nonostante la profonda influenza subita in un primo tempo da parte del luxemburghismo e del sorelismo ­– più saldamente legato alla convinzione che il proletariato potesse esprimersi in modo rivoluzionario solo attraverso il partito, elevando così quest’ultimo a principale agente rivoluzionario”. 40

Senza entrare nel merito delle differenze, Korsch riconoscerà a sua volta alcuni anni più tardi nel suo scritto su Lo stato attuale del problema "Marxismo e filosofia" (Anticritica), premesso alla seconda edizione del 1930 del suo capolavoro, di essersi sbagliato su Lukács:

"[…] le posizioni che ho espresso in Marxismo e filosofia si sono spesso incontrate con le affermazioni fondate su una più larga base filosofica, contenute negli studi dialettici di Gyorgy Lukacs apparsi nello stesso periodo sotto il titolo di Storia e coscienza di classe. In una breve postilla al mio scritto mi sono dichiarato fondamentalmente d'accordo con le sue ricerche, ripromettendomi di prendere posizione in un secondo tempo riguardo alle divergenze marginali che avrebbero potuto ancora sussistere sia nel contenuto sia nel metodo. Successivamente, questa dichiarazione è stata erroneamente interpretata, in particolare dai critici comunisti, come una constatazione di accordo totale; io stesso a quel tempo non avevo ancora individuato con sufficiente chiarezza la portata delle divergenze che non toccavano solo 'questioni di dettaglio' ma che, nonostante i molti punti in comune, toccavano anche questioni fondamentali della nostra tendenza teorica. Per questa ragione, e altre ancora di cui non parlerò in questa sede, non ho mai risposto all'invito rivoltomi ripetutamente dai miei avversari del partito comunista di 'precisare' le mie concezioni nei confronti di quelle di Lukacs; ho invece preferito sopportare che i critici, basandosi sulla 'dottrina marxista leninista', la sola che garantisca la beatitudine, confondessero in modo indifferenziato le mie 'deviazioni' e quelle di Lukacs". 41

Pur non riconoscendosi più nel poscritto del 1923, Korsch non rinnega tuttavia nulla del passato sodalizio intellettuale con Lukacs di cui rivendica con orgoglio la portata critica nei confronti dell'ortodossia marxista. L'unica cosa che poi realmente conti per lui:

"Ancor oggi, pur non potendo aggiungere alla seconda edizione del mio scritto che appare immutato, una simile dichiarazione di accordo totale con le posizioni di Lukacs e, pur essendo cadute tutte le altre ragioni che in passato mi hanno trattenuto dal dichiarare esplicitamente i punti in cui le nostre posizioni divergono, ritengo che in ciò che è essenziale, l'atteggiamento critico nei confronti della vecchia e della nuova ortodossia marxista, di quella socialdemocratica e di quella comunista, oggettivamente io mi trovi tuttora accomunato in un unico fronte assieme a Lukacs". 42

Esula dagli ambiti necessariamente ristretti di questo lavoro intervenire a fondo sulla complessa e tanto dibattuta questione dei rapporti fra i due filosofi. Pensiamo tuttavia che una parola definitiva possa venire dalle memorie di Hedda Korsch:

“Quando lavorava a Marxismo e filosofia [Korsch] non sapeva nulla di Lukács. Ne sentì parlare soltanto dopo la pubblicazione del suo libro. Mi disse che era appena uscito un altro volume che, per molti versi, conteneva dlle idee simili alle sue. In seguito, quando Korsch diede un ciclo di conferenze sul marxismo, negli anni Venti e fino al febbraio 1933, Lukács era solito prendervi parte e vi si recava quasi regolarmente. Dopo c’erano sempre delle discussioni nel Caffè Adler sulla Alexanderplatz, e molto spesso Lukács era presente. (…) Il fatto che Lukács fosse ancora membro del partito comunista mentre Korsch lo aveva abbandonato non influì sui loro rapporti; entrambi si consideravano comunisti critici. Nella sua nuova introduzione a marxismo e filosofia, scritta nel 1929, Korsch affermò che i punti di accordo tra lui e Lukács erano meno di quanto avesse originariamente creduto. Si riferiva alla loro diversa posizione sulla Russia. Quel disaccordo, più di qualsiasi altra questione filosofica, era la fonte principale delle loro divergenze. Korsch riteneva anche che Lukács avesse conservato il proprio retroterra filosofico idealistico molto più di quanto lui stesso avesse fatto. Ma ciò nonostante rimasero amici fino a che Lukács si recò in URSS, dopo di che non ebbero più nessun legame di alcun genere”. 43

Ma qual è, allora, il reale rapporto fra Korsch e Lukács? L’opera di Salvadori dedicata a ricostruire i lineamenti della storia del pensiero comunista contiene una sintetica e chiare definizione del problema. Dopo aver elencato le assonanze fra Storia e coscienza di classe e Marxismo e filosofia, Salvadori passa a evidenziare le differenze:

“Ma in Storia e coscienza di classe vi era tutta una dimensione teorica che in realtà allontanava profondamente Lukács da Korsch. In peimo luogo la diversità derivava dal differente atteggiameno di fronte al partito, in corrispondenza di una non omogenea concezione della sua funzione. Korsch restò molto più segnato dall’dea che il proletariato fosse il vero soggetto della prassi rivoluzionaria. Per contro Lukács era – nonostante la profonda influenza subita in un primo tempo da parte del luxemburghismo e del sorelismo – più saldamente legato alla convinzione che il proletariato potesse esprimersi in modo rivoluzionario solo attraverso il partito, elevando così quest’ultimo a principale agente rivoluzionario. Pur mettendo in guardia verso le possibili deviazioni centralistico-burocratiche dell’organizzazione, in Storia e coscienza di classe Lukács mostrava tutta l’insufficienza della concezione luxemburghiana e del suo spontaneismo, come pure l’opportunismo della concezione menscevica, che rinunciava alla lotta per il depuramento del partito dalle contraddizioni esistenti all’interno del proletariato, e asseriva che «l’unica via possibile che consente di realizzare la libertà autentica è la disciplina del partito comunista, l’assorbimento incondizionato nella praxis del movimento della personalità complessiva di ogni aderente”. 44

Questa diversa valutazione del ruolo del partito produrrà effetti profondi sull’evoluzione futura dei due pensatori:mentre Korsch si avvia a divenire un eretico, Lukács si allinea sulle posizioni di Mosca e di Stalin e ci vorranno i massacri di Budapest del 1956 per costringerlo ad un tardivo recupero di dignità. Scrive di lui nel 1941 Victor Serge, che come si è visto fu a lungo suo intimo amico a Vienna:

“Incontrai più tardi Georg Lukács e la sua compagna, nel 1928 o 1929, in una strada di Mosca. Lavorava all’Istituto Marx-Engels, si soffocavano i suoi libri, viveva coraggiosamente nella paura; pressappoco benpensante, non osò stringermi la mano in un luogo pubblico, giacché ero escluso e noto come oppositore. Sopravvive fisicamente. Scrive articoletti grigi nelle riviste del Comintern”. 45


1 Una deformazione scientista del marxismo già presente nel tardo Engels della Dialettica della natura e dell’ Antidühring che trova in Italia la sua massima espressione nel rigido determinismo bordighiano e successivamente negli scritti di Arrigo Cervetto e nella produzione teorica del gruppo Lotta comunista. Per una critica delle posizioni teoriche di Cervetto e di Lotta comunista vedere M. PASQUINELLI, Una parodia economicista del marxismo, Edizioni Voce Operaia, Foligno 1990. Da parte nostra, senza voler entrare qui minimamente nel merito delle tesi di questa organizzazione , ci limitiamo ad osservare che gli argomenti con cui Lotta comunista ribadisce il suo essere “partito scienza” ci hanno sempre ricordato quei “positivisti” tanto ferocemente criticati dalla Scuola di Francoforte ed in particolare da Horkheimer. “ I positivisti – scrive a questo proposito Max Horkheimer nel 1946 – riducono la scienza ai procedimenti impiegati dalla fisica e dalle discipline da essa derivate, mentre negano il nome di scienza a tutti gli sforzi teorici che non siano in accordo con i principi ch’essi astraggono dalla fisica e dai suoi metodi legittimi. Si deve osservare a questo punto che la divisione di tutta la verità umana in scienza e discipline umanistiche è essa stessa un prodotto sociale ipostatizzato dall’organizzazione delle università […] Il cosiddetto lavoro pratico non ha posto per la verità e quindi la spezza e divide per conformarla alla propria immagine: le scienze fisiche sono dotate di cosiddetta obiettività, ma svuotate di contenuto umano; le discipline umanistiche conservano il contenuto umano, ma solo come ideologia a spese della verità”. [M. HORKHEIMER, Eclisse della ragione, Einaudi, Torino 1969, VI ed., p. 69.]
2 K. KORSCH, Consigli di fabbrica e socializzazione, cit., pp. 77-78.
3 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., pp. 54-55.
4 Ivi, p. 44.
5 Ivi, pp. 47-48.
6 Ivi, p.63.
7 Cfr. K. MARX, Tesi su Feuerbach, Ora in appendice a F. ENGELS, Ludovico Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Edizioni International, Savona 1969, p. 64. Una conferma involontaria della critica di Korsch si può trovare nel saggio Il pensiero economico di Hilferding e il dramma della socialdemocrazia tedesca di G. PIETRANERA che funge da introduzione a R: HILFERDING, Il capitale finanziario, Feltrinelli, Milano 1976 (III ed.). Su Hilferding cfr. anche W. GOTTSCHALCH, Sviluppo e crisi del capitalismo in Rudolf Hilferding, in AA.VV., Storia del marxismo contemporaneo, vol. II, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 49-74.
8 K. KORSCH, Marxismo…., cit., p. 55.
9 Cfr. L. SOCHOR, Lukács e Korsch: la discussione filosofica degli anni venti. In AA.VV., Storia del marxismo, vol. III.1, Einaudi, Torino 1980, p. 742.
10 Cfr. C. RIECHERS, cit., p. 123.
11 P. MATTICK, Karl Korsch, Institut de Science Économique Appliquée, Cahiers, series 7, Suppl. 140, August 1964. Ora consultabile on-line sul sito: www.plusloin.org/textes/korsch.html
12 E’ lo stesso Korsch a riconoscerlo nelle prime righe dello scritto del 1930 Lo stato attuale del problema “Marxismo e filosofia” (Anticritica). Cfr. K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 7.
13 Un esempio illuminante della totale incomprensione degli avvenimenti russi da parte dei teorici della socialdemocrazia si può ritrovare in R. MONDOLFO, Studi sulla rivoluzione russa, Morano, Napoli 1968. Per una lettura di prima mano delle posizioni “materialistico-dialettiche” di Marx ed Engels sulla “questione russa” - al di là dell’interpretazione un po’ troppo “programmista” che ne offre Bruno Maffi nell’introduzione - cfr. K. MARX-F. ENGELS, India Cina Russia, Il saggiatore, Milano 1965 (II ed.). Per una più complessiva trattazione della questione cfr. P.P. POGGIO, Marx, Engels e la rivoluzione russa, Quaderni di Movimento Operaio e Socialista, n.1, luglio 1974. Di particolare interesse da un punto di vista marxista rivoluzionario lo studio di A. BORDIGA, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, Edizioni Il Programma comunista, Milano 1990. Per un’interpretazione “ultrasinistra” della questione, provocatoria ma stimolante come tutti gli scritti di questo autore, cfr. J. CAMATTE, Comunità e comunismo in Russia, Jaca Book, Milano 1975.
14 Sul rapporto irrisolto Kautsky-Lenin cfr. J. BARROT, Le “renégat” Kautsky et son disciple Lenin, disponibile sul sito www.idmcom.org/adel_spartacus/dankant.html
15 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 59.
16 K. MARX, Dibattiti sulla legge contro i furti di legna. In Scritti politici giovanili, cit., p. 223.
17 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 67.
18 Ivi, p. 64.
19 G. LUKÁCS, Lenin, cit., p. 11.
20 K. MARX, Tesi su Feuerbach, cit., pp. 64-65.
21 K. KORSCH, Marxismo… , cit., p. 72.
22 M.L. SALVADORI, Storia del pensiero comunista, cit., p. 467.
23 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p.10.
24 R. GOMBIN, Le origini del gauchisme, Jaca Book, Milano 1973.
25 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 83.
26 Non va dimenticato che la prima edizione, forzatamente incompleta, delle Opere a cura dell’Istituto Lenin appare fra il 1924 e il 1926. L’edizione, di complessivi 20 volumi, è curata da Kamenev e richiede quattro anni di ricerche. Fino ad allora larga parte della produzione leniniana, compresi gli importanti articoli apparsi sull’Iskra, così come le mozioni o le tesi per i congressi del POSDR, era ormai introvabile nella stessa Russia e pressochè sconosciuta alla stessa base bolscevica venuta al partito dopo la rivoluzione del febbraio 1917. Per una sintetica ricostruzione della questione cfr. L. PISANI, Le “Opere” di Lenin, nel numero di dicembre 2001 del periodico Lotta comunista.
27 Non è un caso che rispetto al dibattito interno alla socialdemocrazia tedesca dei primi anni del secolo Lenin si collochi il più delle volte da parte di Kautsky contro le tesi di Rosa Luxemburg e Anton Pannekoek. Non esiste in italiano uno studio organico dei rapporti fra socialdemocrazia tedesca e marxisti russi. Per chi volesse approfondire l’argomento cfr. C. WEILL, Marxistes russes et social-démocratie allemande 1898-1904, Maspero, Paris 1977. Sul secondo congresso del POSDR cfr. l’edizione del Che fare? curata da Vittorio Strada (LENIN, Che fare?, Einaudi, Torino 1971) e -soprattutto per la parte documentaria – G. MIGLIARDI, Lenin e i menscevichi. L’Iskra (1900-1905), La Pietra, Milano 1979.
28 L. SOCHOR, Lukács e Korsch…, cit., p. 745.
29 La critica più compiuta dei comunisti di sinistra alle tesi filosofiche di Lenin si trova in A. PANNEKOEK, Lenin filosofo, Feltrinelli, Milano 1972. Una difesa (neostalinista) di Lenin e un’aspra critica a Pannekoek è contenuta in E. LEONETTI FIORANI, La teoria di classe della conoscenza, Lavoro liberato, Milano 1975. Per un’interpretazione “ortodossa” più equilibrata di Materialismo ed empiriocriticismo cfr. F. FISTETTI, Lenin e il machismo, Feltrinelli, Milano 1977.
30 K. MARX, Tesi su Feuerbach, cit., p. 63.
31 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., pp 100 e sgg.
32 “La stessa filosofia della prassi - annota Gramsci nei suoi Quaderni – è una superstruttura, è il terreno in cui determinati gruppi sociali prendono coscienza del proprio essere sociale, della propria forza, dei propri compiti, del proprio divenire” (A. GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Einaudi, Torino 1948, p. 237). E’ controverso quanto Gramsci, a Vienna nel 1923-1924, conosca degli scritti di Korsch. Certo conosce Lukács (anche lui in quel periodo a Vienna) ed è intimo amico di Victor Serge che di questi era un fervente ammiratore. Cfr. a questo proposito V. SERGE, Memorie di un rivoluzionario, Edizioni De Silva-La Nuova Italia, Firenze 1956, pp. 272-275. Per una visione d’assieme sulla vita e l’opera di Serge cfr. il nostro Victor Serge rivoluzionario senza partito, CEDOC, Savona 1999.
33 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p. 125.
34 LENIN, Quaderni filosofici, Feltrinelli, Milano 1970, p. 171. Rinvenuti tra le carte personali di Lenin dopo la sua morte, i Quaderni filosofici, che raccolgono appunti e riflessioni a partire dal 1895, vengono pubblicati per la prima volta nel 1929-30 e nella forma definitiva, come volume a sé, nel 1933.
35 LENIN, Il significato del materialismo militante. In Opere, XXXIII, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 211.
36 M. JAY, l’immaginazione dialettica, cit., p. 17.
37 M. WATNICK, Relativismo e coscienza di classe: Georg Lukacs, in L. LABEDZ (a cura di), Il revisionismo, Jaca Book, Milano 1967, p. 206.
38 P. VRANICKJ, Storia del marxismo, II, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 96.
39 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., p.84.
40 M.L. SALVADORI, Storia del pensiero comunista, cit., pp. 473 e 476.
41 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., pp. 9-10.
42 Ivi.
43 H. KORSCH, cit., pp. 10-11.
44 M.L. SALVADORI, cit., p. 476.
45 V. SERGE, cit., p. 275.