TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 29 marzo 2016

Addio a Umberto Scardaoni, comunista gramsciano



E' mancato Umberto Scardaoni, presidente dell'ISREC provinciale e già sindaco di Savona e senatore del PCI. Uomo colto e attento ai mutamenti della società e della politica, Umberto è stato prima di tutto un comunista, un intellettuale organico secondo la definizione di Gramsci, espressione di un movimento operaio ancora capace di egemonia. Di lui, con cui soprattutto negli ultimi anni abbiamo condiviso battaglie e ricerche, ci mancherà la capacità di ascoltare, la pacatezza dei ragionamenti e la grande carica ideale che nascondeva sotto un sorriso disincantato. Lo ricordiamo con un suo intervento di qualche anno fa nell'ambito di un convegno dell'ISREC sulla questione dei confini orientali d'Italia. Ne emerge la rara capacità di trattare argomenti anche spinosi senza mediazioni o compromessi, ma restando fedele all'invito spinoziano di non lodare né condannare, ma comprendere.

Umberto Scardaoni

La Questione di Fiume e del confine orientale d'Italia

Certamente la vicenda dei confini orientali del nostro Paese è complessa; molto è stato scritto e molto ancora resta da chiarire anche perchè tale vicenda è stata strumentalizzata di volta in volta a fi ni di politica interna. Secondo alcuni storici bisogna risalire addirittura alla romanità o almeno alla storia della Serenissima Repubblica di Venezia. Senza voler andare così a ritroso tutti gli storici più avveduti fanno riferimento al primo dopoguerra, dopo il disgregarsi dell’impero Austroungarico e al trattato di Pace che ne seguì, con le insoddisfazioni e le polemiche che seguirono in Italia tra le forze del nazionalismo, del reducismo che accusarono di “tradimento” e di “cedimenti” il governo di allora.

In questo quadro si colloca la storia di Fiume con le sue particolarità, poiché nel l’area della cosiddetta Venezia Giulia secondo i dati dei censimenti uffi ciali austriaci nel 1910 gli italiani non superavano il 40% invece a Fiume città gli italiani erano più del 50% e saliranno nel 1921 al 79%, mentre nelle campagne circostanti il rapporto con gli abitanti di nazionalità slava si inverte, tanto che nel 1924 con l’accordo di Roma tra l’Italia e il Regno di Jugoslavia, la città di Fiume viene assegnata all’Italia mentre la periferia, l’entroterra e il porto di Baros alla Jugoslavia.

Tutti gli studiosi di quel periodo che in questi anni hanno dato vita a molte e approfondite iniziative (pubblicazioni, convegni, giornate di studio) e tra esse spiccano le iniziative assunte dall’Istituto Storico Friuli-Venezia Giulia di cui il prof. Todero è dirigente, sono concordi nel ritenere che la storia di Fiume meriti un posto particolare, anche di fronte al più generale interesse per il confine orientale, a cominciare dall’avventura dannunziana con la sua ricaduta nella crisi delle istituzioni liberali, del ruolo degli intellettuali di fronte ad essa e dell’incredibile esperienza “ante litteram” di immaginazione al potere.

Nella scelta di dedicare questa nostra iniziativa a D’Annunzio e alla Repubblica del Quarnaro, alla repressione condotta dal generale Caviglia, al processo di colonizzazione violenta operata dal fascismo negli anni successivi, convergono quindi un insieme di motivi. In primo luogo quello di contribuire a poco distanza dalla celebrazione del “Giorno del Ricordo” dedicata alle vittime per lo più innocenti di lingua italiana, tutte tacciate di fascismo infoibate , dopo l’8 settembre del ‘43, dalla sollevazione delle popolazioni slave e nel ‘45 dai partigiani comunisti di Tito e all’esodo forzato di centinaia di migliaia di italiani, a far conoscere, pur nella condanna, la radice di quegli eventi.

Poi di capire sempre, che più i problemi sono complicati più devono essere affrontati con prudenza e intelligenza politica e che la guerra e l’uso della violenza nelle controversie internazionali, come recita l’art. 11 della nostra Costituzione, devono essere bandite perchè rendono più diffi cile ogni ragionevole soluzione.


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