TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 20 novembre 2015

Umberto Marzocchi e il Sessantotto


E' da poco disponibile “Umberto Marzocchi”, un'accurata ricostruzione dei settant'anni di militanza rivoluzionaria del più importante esponente dell'anarchismo italiano della seconda metà del Novecento. Il volume è solo l'ultimo tassello di un più generale lavoro di ricostruzione della storia politica e sociale savonese nel secolo scorso svolto con grande impegno dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea (ISREC). Un libro importante, da cui riprendiamo larga parte del contributo di Giacomo Checcucci, giovane e promettente ricercatore e saggista savonese.
Giacomo Checcucci
Umberto Marzocchi e il Sessantotto
Umberto Marzocchi è stato senza dubbio un protagonista della storia del movimento anarchico italiano, sia durante gli anni tragici della dittatura e della guerra, sia nei primi mesi, non meno facili, della democrazia. Il suo ruolo sarà ancora più centrale nella ripartenza del movimento, dalla fine del periodo di clandestinità al giro di boa del ‘68.
Gli anarchici, scarcerati per ultimi dai campi di prigionia fascista, anche in regime democratico subiscono atti repressivi non molto dissimili da quelli patiti sotto il dispotismo mussoliniano. Nonostante questo, con gli anni, l’attività della principale organizzazione anarchica Fai, Federazione Anarchica Italiana, e successivamente del sindacato libertario Usi, Unione Sindacale Italiana, riprende vigore e regolarità, rimanendo però, rispetto ai fasti dell’epoca pre-fascista, una realtà minoritaria. Il Maggio francese rovescia questa situazione e ripropone alla ribalta della scena politica e del dibattito culturale l’afflato anarcoide in senso lato e anarchico in senso stretto.
Il ’68 infatti non è solo quello dell’attacco al modello occidentale ma anche quello della Primavera di Praga, del dissenso verso la politica dell’URSS. “L’immaginazione al potere” viene quindi coniugata ad una lotta antiautoritaria indirizzata sia verso il modello americano ed europeo sia verso quello sovietico e dei paesi satellite. Inoltre la quasi totalità delle battaglie degli anni ‘60/’70 è di matrice libertaria: la condanna della sanguinaria guerra in Vietnam e la critica all’esercito, la lotta per la laicità e le accuse di oscurantismo alla Chiesa Cattolica e alla famiglia tradizionale, la difesa dei diritti delle donne e la richiesta dell’istituto del divorzio. E ancora l’attacco al concetto di patria e di partito.
Visto il terreno comune, l’atto d’accusa a 360 gradi lanciato dal ‘68 verso ogni forma di potere, soprattutto se dispotica, avrebbe dovuto trovare nell’anarchismo classico il primo punto di riferimento e il naturale interlocutore. Il dialogo tra i “giovani” contestatori, volenterosi ma talvolta impreparati, e i “vecchi” anarchici, consapevoli ma talora rigidi, non è stato tuttavia dei più facili. Si attua uno scontro generazionale non tanto dissimile da quello vissuto nel resto della società, dalla casa alla scuola.
Non è però solo una questione anagrafica: la frattura riguarda il linguaggio e le idee. Si pensi soltanto alla diversità tra i possibili frequentatori di una sede anarchica degli anni ’60 e le nascenti comunità hippy dello stesso periodo, intrise, più che di rigorose letture politiche, di cultura psichedelica, musica rock, e poesia beat.

E' in questa chiave che vanno valutati i fatti e le parole del Congresso Internazionale del 1968. L’evento si tiene al Teatro degli Animosi di Carrara, tra il 31 agosto e il 3 settembre del 1968, a dieci anni esatti dal precedente incontro avvenuto a Londra nel 1958. E’ considerato da alcuni il congresso più importante della storia del movimento anarchico perché vede la fondazione dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche (IFA, di cui Marzocchi sarà segretario dal 1971 al 1984), un tentativo di coordinare le organizzazioni anarchiche di tutto il mondo.
Tuttavia il Congresso del '68 non rappresenta soltanto un fondamentale evento interno al movimento: è anche uno dei primi episodi pubblici in cui gli anarchici “con i capelli bianchi” si sono potuti confrontare in modo sistematico con la generazione di beatnik, hippy e provos, insomma con i cosiddetti “capelloni”. L’anello di congiunzione tra le due culture è svolto dalla FAGI, la Federazione Anarchica Giovanile Italiana, mentre è quasi totalmente mancante il trait d’union della generazione dei “quarantenni”, numericamente troppo esigua.
All'evento sono presenti 34 delegazioni provenienti da tutto il mondo e intervengo militanti di ogni organizzazione, tra cui Umberto Marzocchi e Alfonso Failla (Italia), Guy Malouvier e Maurice Joyeux (Francia), Jean-Jacques Lebel (Svizzera), Domingo Rojas (Messico), Gerorges Balkanski (Bulgaria), Masamichi Osawa (Giappone), Michel Cavallier e Federica Montseny (Spagna). Ma è la partecipazione dei reduci delle barricate parigine a favorire la massiccia presenza di giornalisti e fotografi, per la prima volta invitati a documentare l’assemblea. (…) Oltre ai giornalisti televisivi e della carta stampata partecipano all’assise intellettuali di caratura internazionale come Italo Calvino e alcuni membri del Gruppo 63, tra cui Elio Pagliarani e Nanni Balestrini. (...)

E' in questo contesto generale che Cohn-Bendit si reca al Congresso nel giorno del debutto dei lavori. Daniel Marc Cohn-Bendit è un esponente di spicco del maggio francese e guida del “Movimento del 22 marzo", gruppo politico nato durante l’occupazione dell’Università di Nanterre e dirottato successivamente alla Sorbona di Parigi in tumulto. E’ nei suoi primi passi in politica vicino a posizioni anarco-comuniste: cerca una commistione tra marxismo e anarchismo, evidenziando i punti di contatto tra le due correnti e accantonandone le distanze.
Il leader studentesco e i suoi compagni giungono quindi a Carrara con l’obiettivo di contestare la vecchia guardia e criticare una posizione ritenuta statica, stantia e settaria. In sala tra i suoi sostenitori è presente anche Pietro Valpreda, il ballerino animatore del romano “Circolo anarchico 22 marzo”, nome ispirato proprio al gruppo francese. Gli anarchici debbono, secondo Cohn-Bendit, far cadere la pregiudiziale antimarxista e collaborare fattivamente con il resto del movimento operaio e studentesco contro l’imperialismo americano e il capitalismo internazionale. (...)
Il primo vero e proprio intervento del congresso è il discorso di apertura di Marzocchi, che dando inizio ai lavori e spiegando l’importanza della federazione internazionale dei gruppi libertari, sostiene che gli anarchici debbano battersi per un socialismo nella libertà, l’esatto contrario della forma di governo di Russia, Cina e Cuba.
    Cohn-Bendit e Alfonso Failla
La replica dei “nuovi anarchici” non si fa attendere: poco dopo infatti prende la parola Jean-Jacques Lebel, della delegazione svizzera e dell’entourage di Cohn-Bendit. Lebel, assimilando l’imperialismo comunista a quello capitalista, propone che gli anarchici debbano assegnare il primato all’azione rivoluzionaria e non alla propaganda. In quest’ottica il congresso stesso sarebbe un’espressione centralista di un anarchismo che istituzionalizzandosi tradisce se stesso. Si imputa quindi alla vecchia generazione di organizzare eventi “borghesi”: secondo i giovani prefiggendosi di mutare le coscienze prima di passare ai fatti, si consacra l’anarchismo ad un gradualismo sterile. La critica principale è quindi al burocratismo delle strutture libertarie, assimilate ai partiti, e giudicate prive di vero spontaneismo.
Non appena prende il microfono il delegato messicano, Domingo Rojas, intervenuto per rendere onore all’organizzazione libertaria cubana, Cohn-Bendit e gli altri ragazzi francesi impediscono il suo intervento, inneggiando rumorosamente a Castro e accusando il relatore di essere affiliato alla CIA. (…) In questo scontro uno dei più accesi avversari del contestatore d’oltralpe è l’anarchico Alfonso Failla, storica colonna della FAI, che nel suo intervento difende la reputazione del movimento cubano e ricorda tutti i soprusi subiti dagli anarchici sia per mano fascista che per mano comunista. La sua contrarietà non è indirizzata solo all’idea di un frontismo tra anarchici e marxisti ma anche ai modi di Cohn-Bendit, di fatto considerati autoritari oltre che inopportuni.
La polemica non si placa a causa del successivo contributo del delegato della federazione francese, Maurice Joyeux, che, nel rendicontare i fatti del “maggio parigino”, suscita nuovamente le contestazioni di Cohn-Bendit e dei suoi seguaci. Nonostante le grida, gli insulti e qualche botta viene data la possibilità al giovane rivoluzionario di effettuare un intervento dal palco. Non essendo membro di nessuna federazione, per poter prendere la parola, si giova di una delega offerta dall’organizzazione inglese: dagli schiamazzi si passa alle proposte e le posizioni sono da subito molto chiare e distinte.

Per Cohn-Bendit e i suoi se il dilemma tra marxismo e anarchismo non sussiste, è centrale invece l’antinomia tra rivoluzione e rinuncia alla stessa. L’azione diretta deve prendere il posto dell’analisi teorica che riduce il movimento all’immobilismo. L’oggetto principale della critica è, come per Lebel, il carattere burocratico e centralista dello stesso congresso, organizzato da forze anarchiche ritenute borghesi e rinunciatarie.
La difesa di Cuba, lanciata veementemente per slogan, lascia in verità il posto ad una critica del bolscevismo, posta però in secondo piano rispetto alla condanna senza appello alle democrazie occidentali. Al contrario per Marzocchi, e con lui per gran parte degli altri presenti, persiste sempre il pari e contemporaneo rifiuto della dittatura del capitale e di quella del proletariato, come valore non negoziabile.
Non si tratta quindi di una dialettica tra violenti e non violenti, tra extraparlamentari e legalitari, ma, semmai, tra due modi di intendere il pensiero libertario e la prassi rivoluzionaria. Tra due strategie differenti: quella dei giovani animata dal primato dell’azione e dall’unità rivoluzionaria e quella degli anziani mossa dalla priorità della maturazione di una coscienza sociale, frutto di studio e approfondimento. I ragazzi vicini al “Movimento 22 marzo” giudicano gli anarchici colpevoli di una deriva “socialdemocratica”, in una complessiva abiura del concetto di rivolta. La vecchia guardia, a sua volta, considera la nuova generazione vittima di un confusionario pasticcio para-marxista. (…)
Subissato da fischi di disapprovazione e accuse di varia natura da parte dell’ala più tradizionalista della platea, Cohn-Bendit abbandona la sala, accompagnato alla porta dal servizio d’ordine della Federazione, composto da granitici cavatori di marmo carrarini del gruppo Germinal. (…) Una parte delle stesse delegazioni giovanili delle federazioni anarchiche estere ed italiana lasciano il teatro e seguono i “ribelli”: con esse le “Leghe operai-studenti”, il gruppo “Noir et Rouge”, la “Federazione iberica della gioventù libertaria” e naturalmente il “Movimento 22 marzo”.
Grazie a questo consenso, sebbene minoritario, dà vita, poco più tardi, ad un congresso alternativo a Marina di Carrara, dove il suo entourage viene raggiunto da una grande quantità di giovani di ogni orientamento politico: tra tende e sacchi a pelo fa capolino anche il giovane ferroviere Pino Pinelli.(…) In tutto questo marasma emergono due fattori principali. Da una parte la pacata e saggia posizione conciliatrice di Marzocchi, che tenta invano ma con determinazione, di non portare alla frattura definitiva il forte scontro tra le due fazioni. Dall’altra la poco nota presenza all’interno del movimento anarchico di correnti di pensiero che storicamente hanno giudicato il modello comunista o quello capitalista come “mali minori”, ai quali, se non aderire, guardare con più simpatia. (...)
    Umberto Marzocchi
Umberto Marzocchi, malatestiano doc, ha svolto il ruolo di figura mediana non solo nei numerosi episodi puntuali di scontro dialettico e fisico come quello di Carrara del ‘68 ma anche nel dibattito puramente intellettuale: tra USA e URSS, tra PCI e DC, tra socialismo autoritario e autoritarismo capitalista non può considerare nessuno Stato, partito o sistema economico e sociale come “meno peggio”.

L’aspirazione ad una società giusta e libera è, in Marzocchi, un anelito simultaneo e parallelo, per il cui raggiungimento non può sacrificare nessun valore fondante della sua visione politica. Marzocchi è stato quindi il custode dell’autonomia libertaria e per certi versi dell’ortodossia anarchica. Ma, allo stesso tempo, ha rappresentato la figura più includente e meno settaria del movimento, sempre pronto al confronto e al dibattito con esponenti delle più diverse correnti ideologiche.