TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 25 novembre 2015

El Greco. L'eterno straniero in viaggio tra le culture



Alla Casa dei Carraresi di Treviso una mostra racconta la formazione dell'artista spagnolo. La modernità inquietante dei suoi corpi ha profondamente influenzato l'arte moderna.

Melania Mazzucco

El Greco. L'eterno straniero in viaggio tra le culture

Il segreto della pittura del Greco è scritto nel nome con cui è passato alla storia. Lui si firmò, sino alla fine, in caratteri greci, Dominikos Theotokopoulos. In Italia, lo chiamavano Il Greco. In Spagna, dove arrivò a trentasette anni e rimase per sempre, non lo chiamarono mai, né lui mai volle chiamarsi El Griego. Rimase sempre El Greco, in italiano. Il nome due volte straniero riassumeva l'orgoglio di una doppia appartenenza e di una doppia formazione culturale (nell'arte bizantina e poi italiana), ma anche il duplice sradicamento, l'identità plurima: era il più appropriato a un artista "stravagante".

La geografia della sua vita è una lezione di storia economica e politica, il suo successo la prova che in tempi di conflitti e sconvolgimenti la salvezza risiede nella mobilità. Il suo viaggio procede, inesorabilmente, da est verso ovest, dalla periferia verso il centro: è una migrazione senza ritorno. Da Creta, colonia veneziana minacciata dal pericolo islamico (in cui la sua famiglia era al servizio degli occupanti: il padre esattore delle imposte, il fratello maggiore daziere), il giovane maestro si trasferisce prima nella capitale dell'Impero, Venezia, e poi nella capitale della Cristianità, Roma. Ma il baricentro della storia europea si è spostato in Spagna, dove affluiscono le enormi ricchezze del Nuovo Mondo.



Così intorno al 1577 il Greco sceglie Madrid: là Filippo II sta costruendo il monastero-palazzo dell'Escurial e attira artisti da tutto il continente. Il progetto fallisce, ma El Greco approda a Toledo, capitale a sua volta: della Controriforma spagnola. Qui apre subito bottega, riceve commissioni di prestigio, mette su casa e famiglia (con la virtuosa compagna Jeronima, che non sposa, ma che gli dà il figlio ed erede, Jorge Manuel), accumula e sperpera ricchezze enormi. Resta, però, sempre uno straniero. Non apprende mai correttamente il castigliano. Nella sua biblioteca, colleziona 27 libri in greco, 67 in italiano e solo 17 in spagnolo.

La sua posizione sghemba rispetto alla società che pure lo accoglie, lo protegge e alla fine gli concede l'inaudito privilegio di non pagare le tasse per meriti artistici – riconoscendo così la pittura, fino a quel momento disprezzata come mestiere meccanico, quale arte liberale – gli consente di poter sperimentare e innovare. La furiosa libertà del suo pennello, la verticalità slungata delle figure, la potenza visionaria, il tono livido del colore non impediscono alla sua pittura di essere apprezzata dall'élite di Toledo: religiosi, mercanti, avvocati, professori, frati e poeti diventano suoi amici, suoi committenti, suoi modelli. Memorabili i ritratti che farà loro: quello del sinistro Inquisitore Guevara con gli occhiali neri è uno dei più impressionanti della storia dell'arte europea.



Siamo abituati a immaginarlo col volto malinconico e spirituale del Ritratto del Met di New York, ma in realtà non sappiamo se quello sia davvero un autoritratto. Non sappiamo nemmeno se fosse ortodosso, cattolico devoto, credente o addirittura ateo. E la modernità irresistibile di certi suoi quadri di soggetto profano (la Donna in pelliccia , il Ragazzo con la fiamma ) fa rimpiangere che gliene commissionassero così pochi. Conosciamo meglio il suo carattere.

Era litigioso, indocile. Si considerava un intellettuale e un filosofo. Le sue opinioni erano perentorie. Il più bel quadro del mondo? La Crocifissione di Tintoretto a san Rocco. Vitruvio? Sopravvalutato. Omero? Inimitabile. Ma la sua più celebre boutade l'ha pronunciata nella sua vecchiaia. Michelangelo, disse El Greco, era «un brav'uomo, ma non sapeva dipingere». Di lui dissero invece che le sue pitture erano ridicole, il colore sgradevole, il disegno sconnesso. Paradossi da cui si desume che la stroncatura è privilegio del genio.


La repubblica – 24 ottobre 2015