TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 3 febbraio 2015

Ritornano i giacobini neri



Ristampato “I giacobini neri”, il magnifico libro in cui "Siellar" James, marxista nero di Trinidad, ricostruisce la storia della rivoluzione haitiana del 1791 e del suo capo Toussaint Louverture. Il libro, uscito nel 1938 (e tradotto in italiano nel 1968) è una riflessione lucidissima su potenzialità e limiti delle rivoluzioni anticoloniali.

Andrea Colombo

Schiavi senza colore

A ricor­darlo oggi, quando il solo nome di Haiti è sino­nimo di mise­ria e arre­tra­tezza, pare incre­di­bile, ma alla vigi­lia della Rivo­lu­zione fran­cese quella che allora si chia­mava Sainte-Domingue era la colo­nia più ricca del mondo: tanto da far dire ai gover­nanti inglesi che strap­parla alla Fran­cia avrebbe com­pen­sato con gli inte­ressi la recente per­dita del Nord Ame­rica. Ci cre­sceva di tutto ma soprat­tutto caffè e zuc­chero, merci pre­ziose. A col­ti­varle erano gli schiavi che arri­va­vano in catene dall’Africa sulle navi negriere, a botte di decine di migliaia l’anno.

Lo schia­vi­smo dal volto umano è esi­stito solo nelle bugie dei pian­ta­tori e nelle fan­ta­sie nostal­gi­che di Mar­ga­ret Mit­chell, ma in alcuni Paesi era più atroce che in altri e in nes­suno come a Sainte-Domingue. Riem­pire il culo dei neri con pol­vere da sparo e poi farli esplo­dere era un gio­condo e abi­tuale pas­sa­tempo, sep­pel­lirli fino al collo con ferite aperte per attrarre insetti fame­lici una puni­zione con­sueta per sgarri anche minimi.

Pro­prio l’altissimo tasso di mor­ta­lità tra gli schiavi ren­deva l’importazione fio­rente: 40mila ogni anno nella fase imme­dia­ta­mente pre­ce­dente il 1789, quando Sainte-Domingue, in piena espan­sione, era quasi la sola voce posi­tiva dell’economia fran­cese.

La popo­la­zione era divisa in tre colori e quat­tro classi sociali. I bian­chi, 40mila o poco meno, si divi­de­vano in una mino­ranza di Grands Blancs, i pro­prie­tari delle pian­ta­gioni, e Petits Blancs, in parte arti­giani ma soprat­tutto sot­to­pro­le­ta­riato urbano, poveri ma supe­riori ai neri e alla gens de cou­leur, i meticci, per il colore della pelle. I 27mila mulatti, gerar­chi­ca­mente seg­men­tati in 64 gra­da­zioni di colore a seconda della per­cen­tuale di san­gue nero nelle vene, erano spesso molto più ric­chi dei Petits Blancs ma del tutto privi di diritti civili e poli­tici.

In fondo alla pira­mide c’erano quasi 500mila schiavi neri per i quali la parola «diritti» non aveva senso alcuno. I pic­coli bian­chi erano in con­flitto con i mulatti: ne invi­dia­vano la ric­chezza. I pro­prie­tari ave­vano ingag­giato un brac­cio di ferro con la madre patria: l’imposizione di com­mer­ciare in esclu­siva con la Fran­cia gli andava stretta. L’Inghilterra aspet­tava l’occasione per impa­dro­nirsi dell’isola del tesoro. La Spa­gna, padrona dell’altra metà dell’isola chia­mata da Colombo Hispa­niola, covava la stessa bramosia.



Il nome indio

La Rivo­lu­zione in Fran­cia fece esplo­dere tutte le ten­sioni insieme. Nella notte del 22 ago­sto 1791 gli schiavi insor­sero met­tendo a ferro e fuoco l’isola. Non era la prima sol­le­va­zione di schiavi nella sto­ria: sarebbe stata l’unica a vin­cere. Dopo quat­tor­dici anni di guerra prima civile, poi con la Spa­gna, l’Inghilterra e infine con la stessa Fran­cia, Sainte-Domingue, tor­nata al nome indio di Haiti, sarebbe diven­tata la prima colo­nia del Terzo Mondo a con­qui­stare l’indipendenza.

La sto­ria della rivo­lu­zione degli schiavi e del suo coman­dante, Tous­saint Lou­ver­ture, è stata scritta molte volte, a par­tire da metà del XIX secolo. Lo scrit­tore ame­ri­cano Madi­son Smartt Bell la ha rac­con­tata in una magni­fica tri­lo­gia, edita in Ita­lia da Alet, forse il prin­ci­pale romanzo sto­rico moderno. Due anni fa per­sino la tele­vi­sione fran­cese ha dedi­cato a Tous­saint una mini serie e nel 2009 Wyclef Jean, ex Fugees, nato ad Haiti, ha rein­ven­tato il con­dot­tiero nero, chia­man­dolo Tous­saint St. Jean, in uno dei suoi cd migliori: From the Hut, To the Pro­jects, To the Man­sion.

I nuovi e nume­rosi studi hanno messo in evi­denza aspetti in pre­ce­denza poco con­si­de­rati: l’importanza della rivolta spon­ta­nea nel Sud del Paese, il ruolo del culto voo­doo (che Tous­saint, cat­to­lico, aveva proi­bito). Però, a 77 anni dalla sua pub­bli­ca­zione, resta insu­pe­rato, per la pro­fon­dità dell’analisi, l’acume delle intui­zioni e la capa­cità di affron­tare nodi moder­nis­simi, I gia­co­bini neri, il sag­gio sto­rico dedi­cato a Tous­saint e alla rivo­lu­zione hai­tiana da C.L.R. James, ripub­bli­cato ora da Deri­veAp­prodi.

James, nero di Tri­ni­dad, gior­na­li­sta, sto­rico mar­xi­sta, comu­ni­sta anti sta­li­ni­sta, parla di Haiti ma guarda a tutte le rivolte anti­co­lo­niali che anda­vano allora matu­rando. Sco­pre e anti­cipa i nodi, le con­trad­di­zioni e i rischi delle rivo­lu­zioni in un Terzo Mondo visto dall’interno e con appas­sio­nata par­te­ci­pa­zione, senza cedere al ter­zo­mon­di­smo che avrebbe affa­sci­nato e con­fuso la mente di tanti epi­goni nei decenni successivi.

James guarda alle lotte di libe­ra­zione nazio­nale pros­sime ven­ture senza mai met­tere la linea del colore o del riscatto nazio­nale (figu­rarsi poi quella dell’identità reli­giosa) in rilievo rispetto alla con­no­ta­zione di classe. Il rischio che le due linee di forza rivo­lu­zio­na­ria, invece che in siner­gia, entrino in ten­sione e con­trad­di­zione non gli sfugge. Fa parte della gran­dezza di Tous­saint l’averle sapute, sino a un certo punto, coniu­gare. Per James quel che conta non è il colore, ma la col­lo­ca­zione sociale.

I pochi neri liberi (com’era peral­tro lo stesso Tous­saint) fecero pun­tual­mente fronte comune con i mulatti e non con la massa degli schiavi, che nella geo­gra­fia sociale di Sainte-Domingue erano la vera forza lavoro. Le stesse con­ti­nue alleanze tra­sver­sali furono det­tate sem­pre e solo dall’interesse eco­no­mico delle diverse fasce sociali, che s’identificavano essen­zial­mente, ma non sem­pre, con il colore.



Che tut­ta­via, in una società raz­zi­sta, restava deter­mi­nante, pro­prio come, più tardi, la com­po­nente di indi­pen­den­ti­smo nazio­nale nelle colo­nie. Il prin­ci­pale errore di Tous­saint fu, secondo James, pro­prio l’aver perso di vista, nell’ultima fase della sua dit­ta­tura, l’importanza di que­sto ele­mento, sacri­fi­cato alla neces­sità di coniu­gare la libe­ra­zione degli schiavi con la rico­stru­zione eco­no­mica del Paese, affi­data in parte ai bianchi.

Il cen­tro della nar­ra­zione è gio­co­forza Tous­saint Lou­ver­ture, il genio poli­tico e mili­tare che scon­fisse i mulatti, gli spa­gnoli e gli inglesi, con­qui­stò tutta l’isola, diede forma rivo­lu­zio­na­ria a quella che pro­ba­bil­mente sarebbe stata senza di lui solo una rivolta di schiavi, costruì la base per un Paese libero che, se il gene­rale nero non fosse stato scon­fitto, sarebbe stato molto diverso da quel che è poi diven­tata Haiti.

L’ammirazione di James per «lo Spar­taco nero» è incon­di­zio­nata, ma le cri­ti­che restano pun­tuali e acu­mi­nate. Tous­saint era con­sa­pe­vole di aver biso­gno dei bian­chi. Non li amava, né li odiava. Li temeva e non se ne fidava, ma sapeva che senza il loro baga­glio cul­tu­rale e senza la loro espe­rienza Sainte-Domingue sarebbe stata per­duta. Cre­deva nella Fran­cia rivo­lu­zio­na­ria, e non si accorse per tempo che la breve paren­tesi gia­co­bina e più ancora san­cu­lotta si era chiusa.

Quando, ormai padrone incon­tra­stato di tutta Sainte-Domingue, per difen­dere i bian­chi tor­nati a gestire le pian­ta­gioni, senza più schia­vi­smo ma con una disci­plina rigida, con­dannò a morte il più bril­lante e popo­lare dei suoi gene­rali, il nipote Moise, Tous­saint decretò la pro­pria rovina.

Quando poco dopo, a fronte dell’invasione fran­cese, non ebbe la pron­tezza di rico­no­scere nella Fran­cia il nemico, e dun­que esitò, evitò di schie­rarsi per l’indipendenza e cercò fino all’ultimo di man­te­nere aperto un dia­logo, si con­dannò alla depor­ta­zione in Europa e alla pri­gio­nia nella tetra e gelida pri­gione di Fort-de-Joux, dove morì dopo pochi mesi nel 1803.



Errori fatali

Tous­saint sba­gliò, ma per lun­gi­mi­ranza non per mio­pia. Des­sa­li­nes, il gene­rale feroce col corpo coperto dai segni delle fru­state rice­vute da schiavo, era l’uomo adatto per por­tare a com­pi­mento la rivo­lu­zione. Sba­ra­gliò i fran­cesi, pro­clamò l’indipendenza del Paese a cui resti­tuì il suo antico nome, si pro­clamò impe­ra­tore, ordinò (su spinta della civile Gran Bre­ta­gna) lo ster­mi­nio di tutti i bian­chi.

Ma Des­sa­li­nes non poteva rico­struire Haiti, né ripor­tarla all’antica ric­chezza. Tous­saint avrebbe potuto, ma per pro­varci aveva dovuto lasciare spa­zio, pur senza fidar­sene, a quelli che mira­vano solo a ripri­sti­nare lo schia­vi­smo e aveva perso così la con­nes­sione con il suo popolo in armi. Il suo dilemma, rico­no­sce James, era tra­gico e non dis­si­mile da quelli con cui si trovò alle prese Lenin dopo la presa del potere e nei giorni di Kronstadt.

Con tutte le loro astu­zie e i fre­quenti cambi di campo, né Tous­saint, né Des­sa­li­nes, né Moise avreb­bero mai accet­tato il ritorno dello schia­vi­smo a cui mirava Bona­parte. Ma per Des­sa­li­nes l’obiettivo non andava oltre, men­tre Tous­saint era dav­vero un uomo della Rivo­lu­zione fran­cese, intesa nella sua acce­zione più gia­co­bina, e Moise sarebbe forse stato l’unico capace di andare oltre e inten­dere la Rivo­lu­zione degli schiavi come sociale e con­sa­pe­vol­mente di classe. Anche per que­sto sacri­fi­carlo fu, secondo James, lo sba­glio più imper­do­na­bile e dalle con­se­guenze disa­strose di Toussaint.

I gia­co­bini neri è un magni­fico libro di sto­ria e, insieme, un attua­lis­simo sag­gio di teo­ria poli­tica rivo­lu­zio­na­ria. Oggi, e pro­ba­bil­mente per molto tempo ancora, è impos­si­bile leg­gerlo senza ritro­varsi negli occhi l’immagine di quella «sto­rica» mani­fe­sta­zione pari­gina seguita alla stragi jiha­di­ste nella reda­zione e nel super­mer­cato. Alla testa c’era un mani­polo di uomini di potere non meno cinici e rapaci di quelli con cui dovette veder­sela Tous­saint, pronti a esal­tare i valori della Rivo­lu­zione fran­cese con­trab­ban­dan­doli come «uni­ver­sali», ma solo dopo averli depu­rati dall’ombra sgra­ziata e sco­moda dei san­cu­lotti e per­sino dello stesso Robespierre.

Dall’altra parte, un Terzo Mondo, ormai spesso interno al Primo, sban­dato e smar­rito, infiam­mato da un’oscura iden­tità reli­giosa, inca­pace di rico­no­scere le radici sociali della pro­pria dispe­ra­zione. E intorno il coro una­nime e bugiardo dei pen­sa­tori di corte, indi­gnato e furi­bondo (giu­sta­mente) con gli jiha­di­sti, ma al fondo con­ten­tis­simo di doversi misu­rare con i taglia­gole della Shari’ah invece che con una rivolta di classe come, con tutti i suoi errori, fu quella di Tous­saint e del suo eser­cito rivo­lu­zio­na­rio di schiavi ribelli.


Il manifesto – 20 gennaio 2015



CLR James
I giacobini neri
DeriveApprodi, 2015
25 euro