TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 20 gennaio 2015

Un raglio demoniaco o angelico? L'asino e il mito



L'asino, amatissimo dall'arte e dalla mitologia, ha sempre assunto simbologie contrastanti. Animale sacro perché porta Cristo, ma anche infernale, folle, ignorante, lussurioso.

Raffaele K. Salinari

Un raglio demoniaco o angelico?


A dif­fe­renza della Gor­gone Medusa deca­pi­tata da Per­seo, o del cavallo alato Pegaso, nato dal san­gue del mostro angui­cri­nito, l’asino non appar­tiene al mitos, cioè a quelle vicende che, come diceva Cesare Pavese «mai sono state ma sem­pre saranno», bensì al logos, alle sto­rie imma­nenti al mondo. E dun­que, come tutti gli esseri che vivono la loro esi­stenza in vici­nanza stretta con gli uomini, l’asino assume signi­fi­cati sim­bo­lici con­tra­stanti, se non oppo­sti, a seconda delle cul­ture e delle epo­che.

In Cina, ad esem­pio, l’asino bianco era la caval­ca­tura degli immor­tali taoi­sti; allo stesso tempo Nonno di Pano­poli, nelle sue Dio­ni­sia­che, narra come il dio fosse arri­vato a Tebe dalla Beo­zia mon­tando la stessa caval­ca­tura. Qui il signi­fi­cato sim­bo­lico dell’animale è chiaro: la sua forza è tale da poter por­tare addosso un far­dello molto pesante, quello di un carico divino.



Ulte­riore esem­pio di que­sto asi­nello «teo­do­fo­rico», sarà quello cri­sto­fo­rico di cui Gesù si ser­virà per entrare a Geru­sa­lemme la dome­nica delle palme; san Cri­sto­foro stesso, in una icona del Museo sto­rico di Mosca viene rap­pre­sen­tato con la testa d’asino. L’asinello aveva già scal­dato il Cri­sto neo­nato nella grotta di Betlemme, men­tre un suo pre­de­ces­sore aveva tra­spor­tato Giu­seppe e Maria verso l’Egitto, in fuga da Erode. Ma, in con­trad­di­zione con que­sta figura di «asino por­ta­tore del sacro», tro­viamo quella dell’asino come emis­sa­rio delle potenze del male.

Nell’antico Egitto, ad esem­pio, l’asino fulvo è una delle entità mal­vage che l’anima incon­tra nel suo viag­gio verso il mondo dei morti. Da que­sto la con­sue­tu­dine egi­ziana di immo­lare un asino ros­sic­cio alla mali­gna divi­nità Set; e dato che l’animale sim­bo­leg­giava nel pan­teon egi­zio il fra­tello assas­sino di Osi­ride, que­sto veniva anche chia­mato il «dio dalla testa d’asino». Paral­le­la­mente, in India, l’asino era la caval­ca­tura dei demoni fune­sti e della stessa Kalí nelle sue fasi di ter­ri­bile ira omi­cida.

Uscendo dalle ipo­stasi che vedono nell’animale alter­na­ti­va­mente un sim­bolo del Bene o del Male, tro­viamo tutta una serie di sto­rie che lo legano all’immagine dell’intelligenza che recal­ci­tra di fronte alla verità; in altre parole dell’«asino chi legge». Qui la serie che ali­menta que­sto luogo comune può essere fatta risa­lire a Mida. La sto­ria ce la rac­conta Ovi­dio nelle sue Meta­mor­fosi: un giorno il re venne chia­mato dal vec­chio genio del monte Tmolo ad arbi­trare una con­tesa sonora tra il dio Pan ed Apollo.

Ora, pro­ba­bil­mente, Mida igno­rava la sto­ria del sileno Mar­sia, essere dun­que molto vicino al dio-capro, che un giorno sfidò il dio solare a una gara musi­cale. La fine di Mar­sia è nota: perse la ten­zone e venne scor­ti­cato vivo da Apollo; una sorta di Mar­can­to­nio Bra­ga­dinante lit­te­ram, il coman­dante vene­ziano scuo­iato vivo dai car­ne­fici del Bey turco Lala Kara Mustafa Pascià dopo la resa di Fama­go­sta nel 1570.

Ebbene, tor­nando a Mida, pare che la musica del grande dio Pan lo abbia stre­gato più di quella di Apollo, tanto da decre­tarne la vit­to­ria. In que­sto caso, trat­tan­dosi di un re e di un avver­sa­rio divino quanto lui, il figlio di Latona e di Giove si limitò a ven­di­carsi dell’onta subita facendo cre­scere a Mida delle grandi orec­chie d’asino.

Natu­ral­mente il sovrano cer­cava in tutti i modi di celare que­sta sua meta­mor­fosi asi­nina, e indos­sava al riguardo un enorme copri­capo. Il segreto, però, doveva essere sve­lato almeno al suo bar­biere che, schiac­ciato dal peso del silen­zio, rac­contò il fatto a una pozza d’acqua. Ma sopra quella stessa pozza creb­bero dei giun­chi mor­mo­ranti che, così, scossi dal vento detto Austro, rife­ri­rono le parole sepolte, sver­go­gnando il re per le sue orec­chie: Leni nam motus ad Austro obruta verba refert domi­ni­que coar­guit aures. Da una meta­mor­fosi a un’altra arri­viamo imman­ca­bil­mente all’Asino d’oro di Apu­leio, in cui Lucio, il pro­ta­go­ni­sta, viene punito con que­sta tra­sfor­ma­zione per aver voluto assi­stere a riti magici proi­biti ai non iniziati.

Per l’autore romano del secondo secolo, pro­ba­bil­mente lui stesso un ini­ziato ai Misteri di Iside e Osi­ride, la sto­ria del suo omo­nimo è una meta­fora del cam­mino peni­ten­ziale che l’animo umano deve com­piere per arri­vare a ripren­dere la purezza ori­gi­na­ria, priva cioè del peso delle con­ta­mi­na­zioni dovute alle pas­sioni incon­trol­late. Ospite del ricco Milone e di sua moglie Pàn­file, esperta di magia, Lucio rie­sce a con­vin­cere la dome­stica Fotide a farlo assi­stere di nasco­sto a una delle tra­sfor­ma­zioni della sua signora.



Alla vista di Pàn­file che, gra­zie a un unguento, si muta in gufo, Lucio prega Fotide di spal­mar­gli la pomata magica ma que­sta sba­glia unguento, così che Lucio diventa un asino, pur man­te­nendo una mente umana. Dopo sva­riate peri­pe­zie, infine Lucio rie­sce a riac­qui­stare sem­bianze umane ciban­dosi di petali di rose durante una solenne festa in onore di Iside. In segno di rico­no­scenza si con­sa­cra devo­ta­mente alla dea, entrando nel ristretto numero di adepti al culto dei misteri isiaci.

Per Ovi­dio l’asino è il sim­bolo della bassa vita istin­tuale. Egli stesso narra che a Làmp­saco i Greci immo­la­vano un asino a Priapo. Epi­gono di que­sta linea meta­mor­fica è, infine, Pinoc­chio, la cui vicenda è troppo nota per essere ricor­data.

Per con­clu­dere que­sta breve car­rel­lata sulle oppo­ste, ma com­ple­men­tari sim­bo­lo­gie legate all’asino, citiamo il clas­sico teso dello stu­dioso della Tra­di­zione René Gué­non che nel suo Sim­boli della scienza sacra, a pro­po­sito dell’asino come pro­ta­go­ni­sta delle cosid­dette «Feste dei Folli» medioe­vali, in cui si intro­du­ceva in chiesa un asino e il clero e i fedeli agi­vano nelle maniere più scon­ve­nienti, dice testual­mente: «Sarebbe un errore voler opporre a que­sto il ruolo svolto dall’asino nella tra­di­zione evan­ge­lica poi­ché, in realtà, il bue e l’asino, posti ai due lati della man­gia­toia alla nascita di Cri­sto sim­bo­leg­giano rispet­ti­va­mente l’insieme delle forze bene­fi­che e di quelle malefiche…».


Il Manifesto – 22 novembre 2014