TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 7 dicembre 2014

Guy Debord, cineasta



Un omag­gio a Guy Debord, vent’anni dopo il sui­ci­dio, pren­dendo in con­si­de­ra­zione una parte impor­tante e sem­pre troppo poco ricor­data del suo lavoro, cioè il suo cinema, e la rela­zione tra que­sto e il pen­siero.

Jason E. Smith

Guy Debord, cineasta *

Il film di Guy Debord Cri­tica della sepa­ra­zione (1961) si pre­senta sia come “demi­sti­fi­ca­zione del docu­men­ta­rio” sia come “docu­men­ta­rio spe­ri­men­tale”. Le più ragio­nate ana­lisi e rifles­sioni sul film lo hanno trat­tato di con­se­guenza come un film docu­men­ta­rio che para­dos­sal­mente smonta e mostra le con­ven­zioni e e i pre­sup­po­sti ideo­lo­gici della forma docu­men­ta­ria.

Tom McDo­nough, per esem­pio, ha offerto una ana­lisi per­spi­cace del modo in cui Cri­tica della sepa­ra­zione attacca non sem­pli­ce­mente la forma gene­rica del docu­men­ta­rio ma ciò che al tempo era la sua più avan­zata, con­tem­po­ra­nea variante: il cinéma vérité e quello che è spesso preso come il suo più impor­tante esem­pio,Chro­ni­que d’un été (1960) di Jean Rouch. E tut­ta­via se il film di Debord prende come suo obiet­tivo appa­rente il docu­men­ta­rio con­tem­po­ra­neo, pro­pone anche – per sé – altre gene­ri­che pos­si­bi­lità, pro­prio al di là della forma del documentario.

Si con­si­deri per esem­pio la sequenza finale del film, che con­si­ste in una serie di foto­gra­fie dei mem­bri dell’Internazionale Situa­zio­ni­sta accom­pa­gnata da un mono­logo della voce di Debord. L’ultima parte del mono­logo, che enun­cia come il film non sarà in grado di ter­mi­nare pro­pria­mente, è pro­nun­ciata su sequenze di imma­gini in campo/controcampo del regi­sta accre­di­tato del film, Debord, e del suo pro­dut­tore de facto, Asger Jorn, come se i due fos­sero in dia­logo tra loro.Men­tre Debord dichiara che Cri­tica della Sepa­ra­zione è«un film che s’interrompe, ma non si con­clude», la visione del film è costretta nella let­tura di una serie di dichia­ra­zioni sot­to­ti­to­late che asso­mi­gliano alla tra­scri­zione di una con­ver­sa­zione pri­vata, come si fosse in un sala di mon­tag­gio, tra Debord e Jorn.



Uno dei sot­to­ti­toli, bale­nando sullo schermo come l’immagine di Jorn si rivolge verso di noi, dichiara che il film che abbiamo appena guar­dato – per cui non stiamo guar­dando il film stesso, ma la sua con­se­guenza, una nota a piè di pagina o un’appendice – riguarda la «vita pri­vata» e cioè, quindi, «è del tutto nor­male che un film sulla “vita pri­vata” sia fatto uni­ca­mente di pri­vate jokes». Quello che segue, dob­biamo pre­su­mere, è pro­prio un gioco del genere: «Si potrebbe fare una serie di docu­men­tari come que­sto, della durata di tre ore. Una sorta di “serial”/ “I misteri di New York” dell’alienazione.»

Les mystères de New York è il titolo fran­cese di una delle serie cine­ma­to­gra­fi­che più famose dell’epoca del muto, The Exploits of Elaine (1914), con Pearl White come l’eroina che senza sosta si mette sulle tracce di un miste­rioso cat­tivo che ha ucciso suo padre e che è cono­sciuto con l’affascinante sopran­nome di “The Clut­ching Hand” (dato il con­te­sto, forse tra­du­ci­bile con “mano del destino”, n. d. t.). Come Cri­tica della sepa­ra­zione, la serie era molto più breve dei lun­go­me­traggi con i quali era spesso mostrata, ed era strut­tu­rata in una forma a epi­sodi che pote­vano essere pro­iet­tati con­se­cu­ti­va­mente di set­ti­mana in set­ti­mana, con ogni finale – o, piut­to­sto, non finale – in suspense (il “clif­f­han­ger”).

Il titolo pro­po­sto potrebbe essere un “pri­vate joke” che allude (anche se mediato rifles­si­va­mente) al gusto equi­voco pro­prio di Debord per il genere di fic­tion e di pro­du­zione cul­tu­rale più pulp, come evi­den­ziato dal suo libro del 1958 in col­la­bo­ra­zione con Jorn,Mémoi­res, messo insieme quasi inte­ra­mente da fram­menti uniti a mo’ di col­lage di romanzi di fan­ta­scienza, fumetti, foto-romanzi e i romanzi poli­zie­schi della Série Noire. Il rife­ri­mento alla forma minore e obso­leta della serie cine­ma­to­gra­fica dell’epoca del muto sug­ge­ri­sce, anche, un ritorno a una forma sto­rica che, una volta riat­ti­vata, potrebbe essere capace di demi­sti­fi­care il docu­men­ta­rio con­tem­po­ra­neo. Ed equi­vale a un pre­veg­gente anche se non inten­zio­nale segno a un futuro vicino in cui la forma seriale verrà a essere iden­ti­fi­cata non con il film ma con il medium o appa­rato sem­pre più rivale, la tele­vi­sione.

Niente, comun­que, ci vieta di con­si­de­rare let­te­ral­mente il joke, e con­ce­pire la serie di brevi docu­men­tari che Debord ha comin­ciato nel 1959 – Cri­tica della sepa­ra­zione sarebbe il secondo epi­so­dio della serie dei «Misteri di New York” dell’alienazione», dopo Sur le pas­sage de quel­ques per­son­nes à tra­vers une assez courte unité de temps – non sem­pli­ce­mente come docu­men­tari, ma anche come crime sto­ries o misteri. Con una impor­tante spe­ci­fica: che il cri­mine in que­stione può, in que­sto caso, non essere più loca­liz­zato nel tempo nar­ra­tivo o attri­buito a un sog­getto indi­vi­duale. Il cri­mine in que­stione non è que­sto o quell’omicidio. Non è un “torto par­ti­co­lare”, ma ciò che il primo Marx chiama – in un pas­sag­gio usato altrove da Debord – il «torto asso­luto» dell’alienazione. O della separazione.

Ma que­sto non è tutto. Infatti, se Cri­tica della sepa­ra­zione è imme­dia­ta­mente rico­no­sci­bile come un docu­men­ta­rio sulla «vita pri­vata» e una crime story senza solu­zione, si pre­senta anche come una sto­ria d’amore ste­reo­ti­pata, con una miste­riosa gio­vane eroina che, forse, rie­cheg­gia da lon­tano la “Elaine” de The Exploits, ma asso­mi­glia più stret­ta­mente alla Nadja di Bre­ton.

Come con tutti gli altri film di Debord, una gran parte di Cri­tica della sepa­ra­zione è com­po­sta di imma­gini rubate, pre­state o “detour­nate”, o di fram­menti di film da altre fonti: cine­gior­nali, pub­bli­cità, foto­gra­fie dal mondo della carta stam­pata fra le altre cose. Ma a dif­fe­renza di quei film, e in par­ti­co­lare dei meglio cono­sciuti fra que­sti – la ver­sione fil­mica del 1973 de La società dello spet­ta­colo e In girum imus nocte et con­su­mi­mur igni (1978) – Il film di Debord del 1961 non usa alcun fil­mato dalla sto­ria del cinema.



Al con­tra­rio, Debord “copre” il mate­riale fil­mato di cui si è appro­priato – gio­vani donne in bikini, rivolte con­go­lesi, il bom­bar­da­mento di aerei da guerra ame­ri­cani – con una nar­ra­zione appa­ren­te­mente fic­tion, girata in 35 mm dal diret­tore della foto­gra­fia André Mrul­ga­ski, con un Debord – o un “per­so­nag­gio” da lui inter­pre­tato – che pedina una jeune fille attra­verso le strade di Parigi. Tal­volta lei sci­vola via total­mente, come nella sequenza ini­ziale “trai­ler” del film, dove è bre­ve­mente intra­vi­sta dalla camera mon­tata su un auto in movi­mento. Tal­volta è trat­te­nuta dalla camera che fron­teg­gia, muta, con la sua voce pri­vata di suono nel momento in cui apre bocca (come nel cinema muto), oppure dal mono­logo impo­sto di Debord, che si rivolge non a lei ma agli spet­ta­tori del film

. Le con­ven­zioni del film nar­ra­tivo e di fin­zione ci obbli­ghe­reb­bero a sepa­rare il cinea­sta Debord sia nella voce di com­mento al film e sia come “per­so­nag­gio” inter­pre­tato, un uomo quasi sulla tren­tina che, come detto, pedina una jeune fille che sem­bra essere non più di una dicias­set­tenne. Que­sta sepa­ra­zione de rigueur è com­pli­cata dal fatto che noi intra­ve­diamo, ad un certo punto, la moglie effet­tiva di Debord, la sola donna mem­bro fon­da­tore dell’Internazionale Situa­zio­ni­sta (Michèle Bern­stein), che accom­pa­gna la jeune fille, come fosse lei stessa parte della sto­ria, reci­tando il ruolo della pro­tet­trice, sedut­trice o rivale.

Bern­stein ha scritto due romanzi durante il periodo in cui Debord ha rea­liz­zato que­sto film. Que­sti inglo­bano non testi spe­ci­fici (come Debord in, diciamo,Mémoi­res) ma generi interi e le loro con­ven­zioni. Sono sto­rie cen­trate intorno al clas­sico tema let­te­ra­rio stile XVIII secolo del trian­golo amo­roso, e se con­si­de­riamo que­sto, siamo costretti a con­si­de­rare l’ambiguità del livello appa­ren­te­mente di fin­zione del film: per­ce­piamo che Cri­tica della sepa­ra­zione regi­stri e sia, allo stesso tempo, un pre­te­sto – anzi­ché una simu­la­zione – per la sedu­zione effet­tiva da parte di Debord e forse della Bern­stein della jeune fille, che con­cen­tra in sé così tanta ener­gia e l’epicentro stesso del film.



Chi – o cosa – è que­sta jeune fille? In un certo senso, il vero mistero che il film inse­gue è pro­prio que­sta domanda. Lei parla (è sen­tita) una volta nel film, ma non den­tro la “realtà” pro­dotta dalla strut­tura di fin­zione della sto­ria d’amore. Al con­tra­rio, la sua voce è sen­tita pro­prio all’inizio del film, reci­tante ciò che potrebbe essere chia­mata la sua epi­grafe: un pas­sag­gio dal lin­gui­sta André Mar­ti­net sulla “dis­so­cia­zione” di lin­guag­gio e realtà. La jeune fille, o ragazza mino­renne e ribelle, è un rife­ri­mento tema­tico costante nei film di Debord, da Hur­le­ments en favour de Sade fino al suo grande film finale, In girum.

Ma nei suoi primi due film, Hur­le­ments e Sur le pas­sage de quel­ques per­son­nes à tra­vers une assez courte unité de temps, la jeune fille (e l’adolescenza e la dif­fe­renza ses­suale, più in gene­rale) non è solo un rife­ri­mento tema­tico. In que­sti due film, la jeune fille è per prima cosa, anzi­tutto, una voce che inte­ra­gi­sce, dia­let­ti­ca­mente, con altre voci. In Sur le pas­sage, per esem­pio, la voce stessa di Debord, descritta nelle note tec­ni­che per il film come «tri­ste e sorda», non è la sola voce, ma è messa in scena in rela­zione con altre voci, una espli­ci­ta­mente iden­ti­fi­cata come quella della jeune fille.

Que­sta ini­ziale plu­ra­lità di voci neces­sa­ria­mente sot­to­li­nea la strut­tura di fin­zione o dram­ma­tica della stessa voce di Debord, negan­dole il pri­vi­le­gio di una sua cen­tra­lità o sta­tus come fonte di affer­ma­zioni teo­ri­che o ana­li­ti­che. È piut­to­sto un tono fra gli altri, malin­co­nico e ras­se­gnato, inne­scato con­tro la voce ste­reo­ti­pata dell’ “annunciatore”dell’altra voce maschile e la pun­teg­gia­tura della voce della ragazza. Men­tre le due voci maschili occu­pano i poli con­ven­zio­nali della neu­tra­lità ogget­tiva e del liri­smo sog­get­tivo, la posi­zione esatta della voce della ragazza in que­stoWech­sel der Töne non è facil­mente cir­co­scritta.

La jeune fille, qui, è spesso usata per inca­na­lare testi che sono par­ti­co­lar­mente discor­danti con la sua voce e la sua età, iro­niz­zan­doli appa­ren­te­mente. Per esem­pio, come fosse ven­tri­lo­quio, tra­mite lei sen­tiamo la voce di Lenin par­lare della “dit­ta­tura del pro­le­ta­riato” in un testo che, inol­tre, denun­cia ciò che Lenin chiama i disor­dini “infan­tili” del comu­ni­smo di sini­stra: un orien­ta­mento poli­tico con cui Debord e l’Internazionale Situa­zio­ni­sta si sareb­bero iden­ti­fi­cati, in modo par­ti­co­lare nel periodo imme­dia­ta­mente suc­ces­sivo al 1961.



Docu­men­ta­rio, scherzo, serie, detec­tive story, o “trian­golo” roman­zato: Cri­tica della sepa­ra­zionecita e alle volte impiega tutti que­sti generi nella sua ricerca dei misteri dell’alienazione. E tut­ta­via, a dif­fe­renza dei primi due film di Debord, qui il “sog­getto dell’enunciazione” che orga­nizza il film è non più fram­men­tato attra­verso una plu­ra­lità di voci, toni, gene­ra­zioni e generi ses­suali. Ora, l’autorità della voce è con­so­li­data nel mono­logo di Debord, e il gioco della fin­zioni e dei generi sem­bra orga­niz­zato intorno que­sta voce e il suo cor­re­la­tivo gene­rico, il docu­men­ta­rio. La jeune fille che inter­rom­peva e diso­rien­tava il dia­logo tra uomini in Sur le pas­sage non parla più, essendo finita den­tro il film. Muta, le è qui asse­gnato il ruolo di un segnale che è venuto «da una vita più intensa».

Fin dalle sue prime bat­tute, Cri­tica della sepa­ra­zione dichiara il suo tema: la per­dita. La sequenza ini­ziale del film, per esem­pio, si con­clude con la vignetta di un fumetto che raf­fi­gura una donna che parla di insuc­cesso e una jeep che si impan­tana nel fango di una palude, accom­pa­gnata dalla voce fuori campo di Debord che domanda «quale vero pro­getto è stato per­duto?» La forma della domanda sot­to­li­nea non solo il fal­li­mento o la scon­fitta di un pro­getto, ma una incer­tezza circa la natura e l’esistenza di quello stesso pro­getto. Per i suc­ces­sivi quin­dici minuti, il film ritor­nerà ripe­tu­ta­mente su que­sto tema, dei pro­getti che hanno fal­lito e delle avven­ture che hanno perso la loro strada.

In que­sto senso, Cri­tica della sepa­ra­zione è dav­vero il sequel” di Sur le pas­sage, che anche riguarda il fal­li­mento delle quel­ques per­son­nes del titolo per rea­liz­zare i pro­getti che for­mu­la­rono nel 1952, quando per prima si formò l’Internazionale Let­tri­sta. Cri­tica della sepa­ra­zioneparla in par­ti­co­lare di per­dita e della sua rela­zione col tempo: “del “tempo vuoto” che si svolge senza inci­dente, dei “momenti per­duti” e del “tempo spre­cato” nel quale le oppor­tu­nità che mai ritor­ne­ranno sono man­cate, e più in gene­rale del tempo che “sci­vola via” o che noi – Debord, il movi­mento rivo­lu­zio­na­rio, la sua epoca come un tutto – abbiamo lasciato sci­vo­lare via. Il tempo era lì per essere preso, la voce fuori campo di Debord malin­co­ni­ca­mente rac­conta, ma il tempo pre­sente, il tempo dello spet­ta­colo, è orga­niz­zato in un tale modo che ogni incon­tro reale, ogni vero ini­zio nella sto­ria è man­cato: «non si è inven­tato nulla»,«quando si è persa l’occasione?»



In uno dei pas­saggi lirici più svi­lup­pati nella sce­neg­gia­tura – tante delle bat­tute che Debord pro­nun­cia sem­brano come fram­menti, cocci, frasi cir­con­date da un con­te­sto fan­ta­sma, man­cante – tro­viamo que­sto tema della per­dita col­le­gato a una figura insi­stente nella scrit­tura dello stesso Debord, non la jeune fille ma più in gene­rale il bam­bino, l’enfant: «Tutto ciò che riguarda la sfera della per­dita, cioè quanto ho per­duto di me stesso, il tempo pas­sato; e la scom­parsa, la fuga; e più gene­ral­mente il tra­scor­rere delle cose, e anche nel senso sociale domi­nante, nel senso più vol­gare dell’impiego del tempo, ciò che si defi­ni­sce il tempo per­duto, s’incontra stra­na­mente nell’antica espres­sione mili­tare “da sol­dati per­duti” (cioè man­dati in avan­sco­perta, allo sba­ra­glio – les enfants per­dus in fran­cese, n. d. t.), incon­tra la sfera della sco­perta, dell’esplorazione di un ter­reno sco­no­sciuto; tutte le forme della ricerca, dell’avventura, dell’avanguardia. È a que­sto incro­cio che ci siamo tro­vati, e per­duti.»

Qual­siasi cosa uno fac­cia delle sue tesi fon­da­men­tali riguardo la vita, il lavoro e la poli­tica di Debord, Vin­cent Kau­f­man ha avuto sicu­ra­mente ragione a orga­niz­zare l’intera tra­iet­to­ria del lavoro di Debord intorno all’espressione e tema del “bam­bino per­duto”. Il senso mili­tare dell’espressioneles enfants per­dus si rife­ri­sce a un distac­ca­mento di sol­dati man­dati in avan­sco­perta, spesso die­tro le linee nemi­che e gene­ral­mente con una cogni­zione che la loro mis­sione sarebbe stata fatale[…]. Quello che voglio sot­to­li­neare in que­sto par­ti­co­lare rife­ri­mento alesenfants per­dus è sem­pli­ce­mente il modo in cui la nozione di incon­tro è para­dos­sal­mente coniu­gata con quella di per­dita o fuga: i vaghi con­torni della sfera della per­dita sono qui pre­senti data l’immagine con­creta dell’incrocio in cui “noi” ci siamo subito tro­vati e per­duti. Que­sta figura gene­rale di incro­cio e di incon­tro man­cato – di un tempo o di una età che in qual­che modo “perde” se stessa – è ciò che il pedi­na­mento del film e di Debord della gio­vane ragazza (prima intra­vi­sta a un incro­cio nella sequenza ini­ziale) sem­bra ren­dere emblematico.

Quale “vero” pro­getto, allora, è stato perduto?




* Tra­du­zione – par­ziale – dall’inglese di un sag­gio dedi­cato al suo terzo film, il corto Cri­tica della sepa­ra­zione (1961), uscito in un numero mono­gra­fico del 2013 della rivi­sta sta­tu­ni­tense «Grey Room», il numero 52, e dedi­cato – appunto – al cinema di Debord. Il titolo del sag­gio è Mis­sed Encoun­ters: Cri­ti­que de la sépa­ra­tion bet­ween the Riot and the “Young Girl”. L’autore – anche cura­tore del numero – è Jason E. Smith: filo­sofo; docente all’Art Cen­ter Col­lege of Design (Los Ange­les); col­la­bo­ra­tore di rivi­ste impor­tanti (fra cui:«Art­fo­rum» e «Cri­ti­cal Inquiry») e autore la cui ricerca – inter­di­sci­pli­nare, spesso tra este­tica e pen­siero poli­tico post 1968 – si muove oggi, pro­prio, su Debord. (Tra­du­zione e cura di Gian­luca Pulsoni)



Il Manifesto – 6 dicembre 2014