TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 22 luglio 2014

Raniero Panzieri e la stagione dei Quaderni Rossi



Ritorna l'interesse per una figura centrale nel marxismo italiano degli anni '50 e '60.

Sergio Dalmasso

Raniero Panzieri e la stagione dei Quaderni Rossi

L’interessante e contro corrente collana gli antimoderati, dopo i due testi su Bianciardi e Giovanni Pirelli, prosegue con un interessante saggio di Cesare Pianciola, filosofo torinese, già autore di studi su Marx, Arendt, Sartre e l’esistenzialismo, sulla sempre attuale, anche se colpevolmente dimenticata, figura di Raniero Panzieri.

Panzieri (1921- 1964) è intellettuale e dirigente socialista dall’immediato dopoguerra. Partecipa alle lotte contadine e alla riorganizzazione del PSI in Sicilia, quindi, a livello nazionale, alla proposta di politica culturale del PSI (vedi Mariamargherita SCOTTI, Da sinistra, Roma, Ediesse ed, 2011) e alla miglior fase della rivista “Mondoperaio”. Vittorio Foa scrive di lui: Panzieri reintrodusse, in forma non scolastica o accademica, ma militante il marxismo teorico in Italia.

Questo nella ricca e tumultuosa fase che segue il 1956 e apre la strada ai fervidi anni ’60, alla rimessa in discussione delle ortodossie e delle certezze e che per Panzieri significa opposizione alla scelta per il centro sinistra del suo partito, emarginazione e ricerca di una via autonoma che lo porta alla fondazione dei “Quaderni rossi”, sino alla morte improvvisa e prematura.



Pianciola non percorre l’intera vita di Panzieri, ma si sofferma sulla fase che giudica più creativa e feconda, quella dei “Quaderni rossi” e della riproposizione di un marxismo non scolastico.

Tre gli elementi di ricchezza dei “Quaderni rossi” evidenziati nel testo:

Il ritorno a Marx, attingendo non alle scuole marxiste, ma a lui direttamente, come strumento per l’analisi del capitalismo

La lettura del capitalismo come formazione dinamica, che supera quella di un capitalismo italiano “straccione” e ritiene che la lotta di classe sia prodotta ai livelli più avanzati

Il rifiuto dello schema dell’integrazione della classe operaia.

Sempre operando una sintesi di un pensiero e di temi molto complessi, l’autore ricava quattro tesi dal lavoro panzieriano svolto nei suoi ultimi anni:

La critica dell’ortodossia dello sviluppo delle forze produttive ostacolato dai rapporti capitalistici di produzione e critica della visione apologetica del progresso tecnico- scientifico diffusa nella vulgata marxista.

Nel capitalismo la concorrenza è una fase soltanto transitoria e, inversamente, la pianificazione non è sufficiente a caratterizzare il socialismo.

Nelle lotte dei lavoratori, sia nella società capitalistica sia nei paesi socialisti, c’è l’istanza di una democrazia non delegata, come potere diretto a partire dai luoghi di produzione.

Il livello della coscienza di classe – nei suoi aspetti antagonistici e non solo conflittuali- non si lascia dedurre dall’analisi delle trasformazioni oggettive del capitalismo: occorre l’inchiesta operaia.



Proprio all’uso socialista dell’inchiesta operaia è dedicato l’ultimo scritto di Panzieri che la legge come nesso tra elaborazione teorica e verifica pratica. E’ questo uso critico degli strumenti sociologici, questo uso “marxista” della sociologia ad impedire ogni caduta in una visione mistica del movimento operaio, rimproverata a chi (Tronti, Asor Rosa, Negri…) nel 1963, dà vita, da una frattura nei “Quaderni rossi”, alla rivista “Classe operaia”.

Il testo, oltre ad una analisi delle tematiche panzieriane, offre una breve biografia, una attenta bibliografia, una postfazione di Attilio Mangano, numerose testimonianze (Foa, Asor Rosa, Tronti, Fortini, Fofi, Lanzardo, Ferraris, Baranelli, Lanzardo, Masi, Miegge, Mottura, Rieser) che ripercorrono, anche criticamente, alcuni aspetti del suo pensiero. Ne emerge uno spaccato del dibattito politico- culturale di una stagione che può parere lontana, ma che offre elementi di analisi che si dimostrano invece molto attuali.

La sintesi del pensiero e dell’opera di Panzieri è inserita da Pianciola nel quadro del dibattito culturale degli anni ‘50/’60.



La affermazione di Panzieri come maggiore interprete del ritorno a Marx è inquadrata in uno studio, sintetizzato in poche pagine, ma di grande profondità sul marxismo degli anni ’60.

Pianciola riesce, con grandissima capacità, a padroneggiare le diverse tesi del marxismo come storicismo, come scienza positiva (Della Volpe), le tematiche della scuola di Francoforte, la lettura di Marx fondata sui Grundrisse, la scoperta di Lukàcs e Korsch, il materialismo di Timpanaro, il neopositivismo.

Questa ricchezza di dibattito e di posizioni è alla base della ricaduta politica dei primi anni ’60 e della stagione successiva, dalle Tesi sul controllo operaio alla “stagione delle riviste”, dal “ritorno a Lenin” alla ricerca di parti, rimosse, della storia del movimento operaio.

Le ultime pagine, di grande profondità ed attualità, partono dalla valutazione di un Panzieri rifondatore del marxismo militante in Italia, ma si chiedono quanto resti del ricco dibattito sul marxismo e se e quanto sia possibile riferirsi a Marx, nella complessa e mutata realtà attuale.

La panoramica offerta di posizioni, valutazioni, interpretazioni anche diverse spazia da Sartre a Merleau Ponty, da Aron a Bobbio, da Giolitti a Chiodi, da Negri a Bellofiore e costituisce una sorta di saggio nel saggio che si chiude con la valutazione della necessità di un approccio a Marx come classico imprescindibile, ma non direttamente spendibile in un programma politico.

Certo, Panzieri avrebbe trovato questa conclusione “revisionista”, nel suo coraggio di andare contro corrente, di cercare nuove strade, nella sua speranza di un socialismo diverso da quello dei regimi autoritari che ne avevano usurpato il nome, di accettare l’emarginazione.

Il mezzo secolo che ci separa da lui esige bilanci, giudizi anche diversi. Ad esempio, del tutto differenti sono le conclusioni sulla sua attualità in Paolo FERRERO (a cura di), Raniero Panzieri, un uomo di fontiera, Milano- Roma, ed. Punto rosso- Carta, 2005.

Un testo breve, aperto, da discutersi, volutamente non una biografia, ma un saggio aspetti centrali del grande laboratorio aperto da Panzieri.

Il ricordo, leggendo queste pagine, non può non andare all’amico Vittorio Rieser che ci ha recentemente lasciati.


Cesare Pianciola
Raniero Panzieri
Centro di documentazione di Pistoia, 2014
euro 10