TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 25 aprile 2014

25 aprile



No a un 25 aprile istituzionale, ipocrita e politicamente corretto.

Enzo Collotti

25 aprile, venti anni fa e oggi

Par­lare oggi del 25 aprile sem­bra deci­sa­mente con­tro­cor­rente, se si pre­scinde dalle cele­bra­zioni rituali e buro­cra­ti­che, e non solo per­ché per ragioni fisio­lo­gi­che la gene­ra­zione della Resi­stenza anno dopo anno si va assot­ti­gliando, ma soprat­tutto per­ché il con­te­sto che ci cir­conda risulta sem­pre più indif­fe­rente ed estra­neo allo spi­rito che con­sentì la pas­sione e l’esperienza della Resi­stenza prima e suc­ces­si­va­mente la rico­stru­zione delle com­po­nenti mate­riali del paese distrutto e della vita demo­cra­tica.

Fa una certa impres­sione con­sta­tare con quanta disin­vol­tura gli alfieri delle ultime sta­gioni poli­ti­che e di quella pre­sente hanno attra­ver­sato e stanno attra­ver­sando pas­saggi essen­ziali della nostra vita poli­tica sulla base di un rozzo empi­ri­smo o del tutto estra­neo ad ogni sol­le­ci­ta­zione ideale ed a ogni rifles­sione sull’origine e sulla matrice della nostra iden­tità democratica.

Ma non mera­vi­glia nep­pure l’indifferenza se non l’idiosincrasia con le quali anche in ambiti cul­tu­rali il rac­conto della Resi­stenza viene stem­pe­rato in un sem­pre più pro­nun­ciato qua­lun­qui­smo delle parole che denun­cia in realtà la lon­ta­nanza dall’oggetto del rac­conto. Ne deriva una sorta di cari­ca­tura della Resi­stenza che non ha nulla a che fare con un natu­rale e neces­sa­rio pro­cesso di sto­ri­ciz­za­zione a oltre settant’anni da que­gli eventi, ma che riflette piut­to­sto uno spi­rito di par con­di­cio pro­fon­da­mente intro­iet­tato nell’opinione comune, quasi a non volere fare torto a nes­suno con il risul­tato di col­lo­care tutte le parti in lotta sullo stesso piano.

La pre­sunta equi­di­stanza che tra­duce gli eventi ter­ri­bili del 1943–45 nel ripar­tire il ter­rore da una parte e dall’altra è la nega­zione di quella dispa­rità di valori che fu nella copn­vin­zione di coloro che sali­rono in mon­ta­gna o affron­ta­rono la guer­ri­glia in ambito urbano. Vice­versa, fare la sto­ria a tutto campo facen­dosi carico anche delle ragioni dell’altra parte non vuole dire appiat­tire i ruoli e met­tere tutti allo stesso livello, misco­no­scendo ancora una volta la dif­fe­renza tra chi ha com­bat­tuto per la libertà e chi ha soste­nuto sino alla fine la bru­ta­lità della dit­ta­tura e dell’oppressione. L’anestesia del lin­guag­gio non è che l’espressione in super­fi­cie dell’anestesia della memoria.

Il pro­blema non è solo ita­liano, anche in larga parte d’Europa — è bene ricor­darlo alla vigi­lia di un’importante con­giun­tura elet­to­rale — l’incombenza e l’imponenza della crisi ha fago­ci­tato la memo­ria. Ma il pro­blema rimane par­ti­co­lar­mente acuto per un paese come l’Italia uscito dall’esperienza del fasci­smo le cui tracce riaf­fio­rano ancora e non solo nel costume. Tra­smet­tere alle gene­ra­zioni più gio­vani la memo­ria della Resi­stenza non è più e non sol­tanto un pro­blema di carat­tere sto­rico, di tra­smis­sione della cono­scenza di un momento spar­tiac­que nello svi­luppo di que­sto paese, ma un pro­blema di peda­go­gia civile, di edu­ca­zione civica nel senso più alto e meno dot­tri­na­rio pos­si­bile. Mi piace ricor­dare in que­sto senso il mani­fe­sto che, con Luigi Pin­tor in prima fila, pro­mosse la grande mani­fe­sta­zione della «Libe­ra­zione», il 25 aprile del 1994, venti anni fa a Milano, men­tre l’Italia entrava nel buio tun­nel berlusconiano.

Que­sto vor­rebbe dire riac­qui­sire alla cul­tura poli­tica delle nuove gene­ra­zioni un insieme di valori che la fram­men­ta­zione della poli­tica e la scom­parsa di una cul­tura impe­gnata rischiano di ren­dere obso­leti. Un’opera nella quale sarebbe dif­fi­cile sot­to­va­lu­tare il ruolo della scuola e dei mezzi di comu­ni­ca­zione, non come sem­plice sup­plenza di sog­getti di edu­ca­zione poli­tica come i par­titi che non esi­stono più, ma come pro­mo­tori di pri­mis­simo piano della for­ma­zione di una coscienza civile e cri­tica di cit­ta­dini con­sa­pe­voli dei loro diritti e della fonte di legit­ti­ma­zione della Carta costi­tu­zio­nale che la garantisce.


Il Manifesto – 25 aprile 2014