TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 4 gennaio 2014

Ritorno ad Itaca (Le illusioni d'Itaca, 12)



Tutto finisce come era incominciato, senza alcuna logica.

Giorgio Amico

Le illusioni d'Itaca

11. Ritorno ad Itaca



Si ritrovò davanti al Solea che era pomeriggio inoltrato. La calura, sino ad allora tanto intensa da rendere semideserte le strade, stava lentamente scemando. Spinse la porta ed entrò. La donna dai capelli grigi era lì. Seduta ad un tavolo, annotava qualcosa su un registro. Come lo vide entrare ripose il quaderno, si alzò e gli si avvicinò.
  • L’ attendevo. Ero sicura che sarebbe tornato. Cosa posso fare per lei?
  • Mi aiuti a trovare Giulia. Non le chiedo altro.
  • Perché la cerca?
Non gli era mai piaciuto parlare di sé, né che gli altri si interessassero troppo da vicino delle sue cose, ma quella donna non più giovane seduta davanti a lui riusciva con la sola sua presenza a trasmettergli una sensazione di serenità, a rassicurarlo. La guardava e non trovava nel suo aspetto nulla che potesse più colpire l’attenzione di un uomo, ma qualcosa comunque emanava da lei che non lo lasciava indifferente. Sarà stata la voce roca, l’atteggiamento disincantato di chi ha molto vissuto o il modo particolare che aveva di guardare l’altro dritto negli occhi, ma quella donna esercitava su di lui un fascino sottile. Non avrebbe saputo spiegarne il perché, ma era così.
  • Assomiglia a Giulia. – pensò – Ha lo stesso sguardo.
Notò che la donna fissava con insistenza l‘orecchino che portava al lobo dell’orecchio sinistro. Un piccolo cerchietto d’oro, da marinaio.
  • È un regalo di Giulia, di tanti anni fa. – spiegò – Non me ne sono mai separato.
Ricordava perfettamente l’occasione di quel dono. Erano in campagna. Un pomeriggio d’estate di tanti anni prima. Il tempo all’improvviso era cambiato ed ora minacciava tempesta. Nuvole cariche di pioggia avanzavano dal mare. Guardavano il cielo e affrettavano il passo lungo il sentiero che tagliava per i campi. Poi venne la pioggia, Si erano riparati in un vecchio casolare in rovina. Un povero rifugio, ma bastante a dar loro ricovero dall’imperversare della temporale.
  • Mi ami? – aveva chiesto lei.
  • Perché me lo chiedi ?
Non aveva risposto. Poi, con un solo gesto si era sfilata uno degli orecchini che portava: un piccolo cerchietto dorato.
  • Tieni. Portalo sempre con te. Anche quando non mi amerai più.
L’aveva presa così, in piedi, contro la parete di pietra. Con le vesti ancora fradice di pioggia, lei si era abbandonata interamente alle sue carezze. Si erano amati con disperazione, travolti dal crepitio della pioggia, eccitati dal furore primordiale della natura attorno a loro. Ansanti, dall’ uscio avevano visto il cielo tornare azzurro, ma dentro di loro ancora albergava la tempesta. Avevano percorso il tragitto verso la città in silenzio, interamente presi dal mistero terribile di ciò che era loro accaduto.


  • Pensa di amare ancora Giulia? – La voce della donna lo riportò al presente.
Non si sentiva ancora pronto a scendere su quel terreno. A mettersi tanto a nudo. Rispose con poche frasi banali.
  • Non lo so. Come si fa a dire una cosa simile ? È passato tanto tempo da allora. Troppo tempo. Forse quello che voglio è solo il suo perdono. Sentirmi finalmente in pace.
  • Non è questo il problema. E lei lo sa benissimo. – La voce di lei era diventata dura – Se le cose stanno veramente così, se questo è ciò che lei veramente desidera, allora sta sprecando il suo tempo ed il mio.
Provò a dire qualcosa, ma lei non gliene lasciò il tempo.
  • Se è così, lasci perdere Giulia. Non la faccia ancora soffrire. Ha già sofferto abbastanza. Non crede?
Si sentì toccato nel profondo. Per mascherare il turbamento che lo aveva preso estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette e lentamente se ne accese una.
  • Si fa presto a dire amore.
Ma amore è una parola strana, dai molti significati. Può significare anche paura. Paura di perdere la propria libertà, di dover rinunciare ai propri sogni. Timore di restare prigionieri di una felicità illusoria, di un’ebbrezza passeggera. Provò a giustificarsi.
  • Ero molto giovane allora. A quell’età si crede di avere le idee chiare. Di aver capito tutto.
  • Anche Giulia era giovane. Eppure…
Con parole incerte confessò finalmente il suo peccato. Non aver capito che è l’amore che rende forti gli uomini, che li fa capaci di reggere il peso della vita, di riconoscersi negli altri umani, di accettare la propria debolezza.

  • Credevo che l’amore per Giulia mi rendesse debole, mi distogliesse da ciò che dovevo fare, da ciò che era giusto fare. E così l’ ho lasciata, ho rovinato la sua vita e anche la mia.
Lei l’ascoltava in silenzio. Lasciava che il suo dolore prendesse forma compiuta, diventasse parola.

Parlò a lungo mentre il pomeriggio lentamente passava. Le raccontò della sua vita per mare, del suo errare inquieto, dei libri scritti, delle città dove aveva vissuto, della solitudine che lo aveva accompagnato per tutti quegli anni. Di Giulia sempre presente nella sua mente
  • Deve amarla ancora molto, per parlare così.
Non riuscì più a trattenersi. Non poteva ancora fingere con gli altri, ingannare sé stesso.
  • Giulia è la mia vita.
  • Anche lei lo pensa.
  • Ha parlato con lei? Quando?
  • Un paio di giorni fa. E’ stata lei a chiamare. Mi ha raccontato tutto del vostro incontro.
  • Com’era la sua voce?
  • Come di chi, dopo aver compiuto un lungo cammino, sia giunto finalmente alla sua meta.
  • Ma allora, perché fuggire ? Nascondersi in questo modo?
  • Aveva bisogno di riflettere, di capire. Voleva essere sicura.
  • E ora? Cosa devo fare?
  • Nulla. La chiami. Giulia l’aspetta. Ecco: le do il suo recapito.
Quando aveva sentito la sua voce all’altro capo del telefono un’emozione inesprimibile lo aveva preso.
  • Ciao Giulia, sono io, volevo dirti..
Lei l’aveva dolcemente zittito.
  • Non ora. Ci sarà tempo. Ti aspetto. Qui, nel bar dietro il mercato.
  • Ti amo Giulia. Ti ho sempre amato.
  • Lo so. Vieni. Non tardare.
Più tardi, mentre tornava verso il suo albergo, immerso nella folla della sera, pensava che la sua vita era stata un lungo, accidentato viaggio. Alla ricerca della sua Itaca di sogno. Come nella poesia di Kavafis.

Se per Itaca volgi il tuo viaggio,

fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
(…)
Né Lestrigoni o Ciclopi
né Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.

Novello Ulisse tornava finalmente alla sua casa, dopo aver scacciato i fantasmi che avevano torturato il suo cuore, che avevano reso lungo e tormentato il suo viaggio. Tornava alla sua Itaca di carne reso saggio dal dolore, capace finalmente di amore. Al termine di quel cammino Giulia lo attendeva, sereno porto di quiete. Antica come la terra, forte come la montagna.

Itaca t’ ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.

E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.

E mentre il suo cuore gioiva, il cielo sopra Marsiglia prendeva fuoco nella luce del tramonto.


Epilogo

Superata l'ultima galleria, gli apparve il piazzale dell'ex-dogana come sempre ingombro di camion e di camper. Era di nuovo in Italia adesso. Gettò uno sguardo distratto sulle vecchie caserme, sul greto sassoso del Roja avvolto dalle ombre. Alla sua destra dietro le antiche mura della città vecchia, alta sulla collina, la Cattedrale biancheggiava nella calda sera estiva. Ora l'auto correva sull'autostrada punteggiata di gallerie e viadotti, sospesa tra il mare da un lato e le colline brulle ricoperte di serre dall'altro. Accese la radio. Si sentiva sereno. Tornava da Giulia e intanto ascoltava Georges Brassens cantare Les Lilas. 

Aux cours où son cheval passe

L’amour ne repousse pas
Aux quatre Coins de l’espace
Il fait l’desert sous ses pas.

Alors nous amours sont mortes
Envolées dans l’au-delà
Laissant la clè sous la porte
Sous la porte des Lilas.

(“Dove passa il suo cavallo/l’amore non rinasce/Ai quattro angoli dello spazio/fa il deserto sotto i suoi passi./Allora i nostri amori sono morti/ volati via nell’aldilà/ Lasciando la chiave sotto la porta/ Sotto la porta dei Lillà.”)

Gli piaceva Brassens. Gli era sempre piaciuto. Le sue canzoni erano uno sghignazzo rivolto contro il moralismo ipocrita della gente perbene. Una pietra scagliata contro il conformismo dei benpensanti. Gli ricordavano i suoi sogni giovanili. La sua voglia di ribellione. Il gusto della trasgressione. Il sapore aspro della verità. La sincerità negli occhi di Giulia.

Andava sull’autostrada grigia e per la prima volta i ricordi non gli facevano più paura. Finalmente sapeva quale era la via giusta per uscire dal caos che era stata fino allora la sua vita. Di nuovo provava sentimenti. Non si vergognava più della sua debolezza. Non sentiva più il bisogno di fuggire. Antica come la sua terra, Giulia lo aspettava. Perdersi in lei: questo era ciò che voleva, che aveva sempre voluto. Giulia era la libertà. Il sogno inseguito sui mari, intravisto nei porti, perso nelle notti fumose, ritrovato nelle albe sanguinanti. Lei e nient’altro nella sua mente.

Correva sull’autostrada mentre sul mare di Liguria lentamente da Oriente si alzava la luna. Pensava a loro due di nuovo insieme. A cosa sarebbe stata la loro vita. Ad un nuovo inizio, dopo tanti anni. Ma forse, in realtà, non era mai finita fra loro. Forse nulla va mai veramente perduto. Pensava a tutto questo e a Giulia. Rivedeva la vecchia casa sulla collina e nella brezza salmastra, che lieve saliva dal mare, si sentiva finalmente parte di quella terra aspra di confine. La terra dei suoi vecchi, la sua terra.

Si accorse solo all'ultimo momento del camion messo di traverso sulla carreggiata proprio all’uscita della lunga galleria. Frenò d'istinto. Il colpo lo prese all'improvviso da dietro. La macchina iniziò a sbandare sempre più forte, sbatté contro il guard-rail, poi si mise a girare su stessa come impazzita. Stringeva il volante con tutte le sue forze, ma non serviva a nulla. Il camion si faceva sempre più vicino, sempre più grande. Ora incombeva gigantesco su di lui.

Lo schianto fu terribile.

Non provava dolore, ma nel torpore che lo aveva preso faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Non capiva più bene dove fosse. Sentiva voci concitate attorno a sé, mentre sempre più forte si faceva il suono delle sirene. Poi, lentamente, i rumori si acquietarono fino a sparire. E all’improvviso, in una luce strana che non era più quella dell'estate, gli parve di vedere Giulia venirgli incontro, sorridente come in quel mattino di primavera di tanti anni prima.
  • Sto per morire - pensò.
Ma non aveva paura. Non più. Adesso che Giulia era con lui.

Nel piccolo caffè dietro al mercato Giulia si affannava al banco a servire gli ultimi clienti della giornata. Mancavano ormai pochi minuti all’ora di chiusura del locale.

Dal televisore, alto in un angolo, giungevano gli echi del telegiornale, frammenti di notizie:

Un morto oggi sull'autostrada in un incidente che ha coinvolto diverse autovetture e un autoarticolato francese nei presso dell'ex barriera di confine. Il traffico è rimasto interrotto per oltre due ore in direzione di Genova.”

Giulia non ascoltava, pensava a lui che dopo tanto tempo era tornato. A lui che stava per arrivare.

Fuori, nel silenzio del mercato ormai deserto il gatto nero dormiva accoccolato in un angolo, ignaro delle sofferenze degli umani.