TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 20 dicembre 2013

Lampedusa. La nudità imposta


A proposito di Lampedusa riprendiamo l'intervento sul Manifesto del nostro amico Raffaele Salinari con il quale abbiamo condiviso momenti importanti di riflessione nell'ambito delle scuole di politica del PRC savonese.



Raffaele K. Salinari *

La nudità imposta



Mio nonno Raf­faele era par­tito i primi del Nove­cento con il Lusi­ta­nia alla volta di New York. Con la sua vali­gia di car­tone ed il biglietto di terza classe aveva con­di­viso il mal di mare ed il nero delle notti sull’oceano nella sof­fo­cante atmo­sfera di cuc­cette che rim­bom­ba­vano del fra­gore dei motori e impre­gna­vano i vestiti di olio meccanico.

Non c’erano pia­ni­sti a bordo che ral­le­gras­sero le serate, come rac­conta il neo­bar­baro Baricco, né i gia­ci­gli sem­bra­vano «letti a due piazze» come canta De Gre­gori. Que­sto mi diceva il nonno, ed anche, dopo tutto quel viag­gio verso l’ignoto, lo sbarco ad Ellis Island dove nei suoi occhi di ottua­ge­na­rio c’era ancora il ricordo di quando lo ave­vano spo­gliato, rasato, e disin­fet­tato con la pompa antisettica.

Quella nudità col­let­tiva, quella fila di corpi senza più la diver­sità carat­te­riz­zante che davano i sep­pur miseri vestiti, lo scon­vol­geva ancora. Quando trovò sul mio como­dino «Se que­sto è un uomo» mi disse sem­pli­ce­mente: lo capisco.

La nudità impo­sta, lo sco­prire a forza la «nuda vita» come dice Ben­ja­min, mostra ed espone il cuore dell’essere; non è un caso che ogni forma di domi­nio bio­po­li­tico, a comin­ciare dai Lager nazi­sti, summa anti­ci­pa­trice della moder­nità, l’abbia uti­liz­zata come dispo­si­tivo di espro­pria­zione di que­sto cuore. Eppure, pro­prio per que­sto, la resi­lienza, la sistole che diventa comun­que dia­stole, che torna ad espan­dere la dignità dell’essere nudo davanti ai suoi car­ne­fici, pre­vale, anche se non sem­pre, e prende forme mul­ti­ple, come quelle di mostrare al mondo un video di denun­cia di certe pra­ti­che, com’è suc­cesso a Lam­pe­dusa. Anche nei lager c’erano pro­ce­dure sani­ta­rie, anche Men­gele spe­ri­men­tava secondo pro­to­colli gali­leani, ma il senso di tutto que­sto era defor­mato dall’intento finale, dalla volontà dell’umiliazione.

Non sap­piamo se così sia stato anche per Lam­pe­dusa, vogliamo spe­rare di no, anzi dob­biamo spe­rare di no, le inda­gini lo diranno. Ma que­sto non impe­di­sce che una rifles­sione più pro­fonda vada fatta su ciò che è suc­cesso, anche indi­pen­den­te­mente, se sarà così, dalla volontà di chi ha gestito i fatti. In pri­mis un dato antro­po­lo­gico: pos­si­bile che dopo tanti anni di espe­rienza con i corpi migranti non si sia ancora capito dove risiede quell’inalienabile dignità che essi hanno con­ser­vato nelle tra­ver­sate mor­tali, che hanno man­te­nuto nelle tor­ture, negli stu­pri, negli abusi di tutti i tipi? Come si può essere così cie­chi da non capire il valore sim­bo­lico del vestito e della nudità di massa?

E allora qui siamo di fronte non ad una sem­plice super­fi­cia­lità, o peg­gio, ma ad una incom­pe­tenza che mette a giu­sti­fi­ca­zione di un gesto grave dei pro­to­colli che pos­sono essere appli­cati in ben altre maniere. E ancora, quale civiltà dell’accoglienza per­mette o anzi impone tali pro­to­colli? Ci sono dun­que respon­sa­bi­lità pun­tuali, ma anche poli­ti­che. Nulla è cam­biato dalla tra­ge­dia di Lampedusa.

I man­cati fune­rali di Stato, pro­messi dal pre­si­dente del Con­si­glio, hanno get­tato non solo un’ombra sulle reale volontà di uma­niz­zare l’inumanizzabile, ma anche di rico­no­scerne l’insostenibile valenza mor­ti­fi­cante. Allora i corpi non c’erano, occul­tati in tombe senza nome, oggi sono espo­sti allo scan­dalo di se stessi, acce­canti come tutto ciò che si vede ver­go­gnan­do­sene. Ora ci sono le imma­gini, e lo Spet­ta­colo ha ripreso il suo dominio.

La com­mo­zione durerà il tempo dei fra­mes tra­smessi dai media, ma la ferità bru­cerà pro­fonda nei corpi dei migranti e non solo, e non sap­piamo che infe­zioni pro­vo­cherà: è un nostro dovere sanarla immediatamente.

Già le asso­cia­zioni si stanno muo­vendo, e que­sta volta non baste­ranno fugaci visite o pro­messe da rivol­gere alla lon­tana Europa, per occul­tare il pro­blema. Tutte le solu­zioni sono alla por­tata del governo ora, dei suoi mini­stri e del pre­si­dente del Con­si­glio. Ci aspet­tiamo radi­cali cam­bia­menti nelle pros­sime ore.



Il Manifesto – 19 dicembre 2013

*Medico, Presidente della Fondazione Terre Des Hommes Italia. Autore di numerose pubblicazioni.