TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 28 dicembre 2013

Incontri (Le illusioni d'Itaca, 5)



Girovagando nella città sulla costa il marinaio senza nome scopre che al proprio destino non si sfugge (Quinto capitolo de Le illusioni d'Itaca).

Giorgio Amico

Le illusioni d'Itaca

5. Incontri

Il pomeriggio passò rapidamente in un inquieto girovagare da un locale all'altro che, senza lasciare in lui memoria alcuna, accrebbe però quel senso di insoddisfazione che sin dal mattino si portava dentro. Quei vicoli, quelle piazzette, quelle strade, che erano stati testimoni di una felicità passata, gli apparivano ora sempre più estranei. Si sentiva fuori posto.

E poi fu notte. Il mare, increspato dalla brezza serale, brillava sotto la luce argentea della luna. Era uno spettacolo magnifico, che avrebbe dovuto infondergli un senso di pace, ma proprio allora quel malessere vago che per tutto il giorno lo aveva accompagnato divenne intollerabile. Si trovò a pensare che anche in questo campo la sapevano lunga i poeti: le ore peggiori sono proprio le ore della notte quando il peso dei ricordi si fa insostenibile.

In piedi al bancone dell'ultimo bar, un whisky davanti e la sigaretta fra le dita, gli ritornò lancinante il ricordo di Giulia: nel loro amarsi e respingersi un capriccio insensato li aveva divisi. Ma quale logica c'è poi nell'amore ? Una volta un poeta aveva scritto che a letto pensiero ed analitica non hanno più senso. Non ricordava più in quale libro avesse trovato quella frase, ma concordava pienamente con ciò che l'anonimo scrittore aveva voluto significare. La sua storia con Giulia non ne era forse una dimostrazione eloquente?

Lei aveva lasciato la famiglia perché i suoi non avevano accettato che avesse una relazione con uno come lui. Uno spostato, un ribelle. Posta di fronte alla scelta fra un tranquillo avvenire borghese e la folle felicità del presente, lei aveva scelto senza esitazioni l'amore: un amore vero, profondo, senza ipocrisie. Così si erano messi insieme. Due stanzette all'ultimo piano di una vecchia casa su nei vicoli della città alta erano state il loro mondo. Dalle finestre vedevano oltre i tetti rossi delle case in basso l'azzurro luminoso del mare. Non avevano bisogno d’altro che di stare insieme. Bastavano a se stessi. Persi l’uno nell’altro.

Era stato bello finché era durato. Poi l'inquietudine lo aveva ripreso ed era partito.
  • Ti scriverò - Le aveva detto.
Ed infatti, arrivato a Marsiglia, per un po' le aveva mandato delle lettere. Poi aveva trovato un imbarco ed era sparito nel nulla. Non aveva cercato più di rivederla.

Non gli piaceva il riaffiorare dei ricordi dopo tanto tempo. Detestava la notte, ma ancora di più questo pigro incedere dei pensieri che non porta da nessuna parte, che arreca solo pena. Sentiva nausea come dopo una sbornia o una notte in bianco. Silenziosa, nel ricordo Giulia lo fissava con quella maniera che aveva di guardare che lo aveva sempre sconcertato: uno sguardo diretto, senza infingimenti. Occhi pieni di luce che parevano scavargli dentro, giungere fino ai suoi più intimi pensieri. Fuori del bar, intanto, il vento era cresciuto e scuoteva le tende.

E all'improvviso, mentre l'odore vicino del mare e il rumore forte della risacca gli riportavano alla memoria il profumo del corpo di Giulia sui cuscini di un letto sfatto nella luce chiara del primo mattino, gli venne voglia di andare a puttane, di perdersi fra le braccia di una donna nelle luci e nei rumori della città. Gli parve un modo adeguato di finire quella giornata. Un desiderio di abiezione lo prese, voglia di annegare nella miseria che lo circondava, nello schifo che sentiva montare dentro di sè fino a soffocarlo.



Camminava nella città immersa nel silenzio della notte. Lontano dal centro anche il via vai delle auto si era finalmente acquietato. Lungo i viali deserti lampeggiava inutile il giallo dei semafori. Sulla piazza alberata della stazione non c'era nessuno, tranne due ragazze di colore in piedi vicino all'angolo dei taxi. Vestivano abitini succinti che mettevano in risalto il bruno turgore delle carni. Attraversò lentamente la strada sentendo sempre più forte il profumo da pochi soldi dei loro corpi. Un desiderio cupo lo attanagliava, sentiva in basso il suo inguine pulsare. Si fermò vicino a loro e aspettò senza dire nulla, lasciando che fossero loro a prendere l'iniziativa.
  • Ciao, - disse la più giovane con un abbozzo di sorriso- mi chiamo Debora. Vuoi scopare ? Sono brava, sai ?
  • Andiamo - rispose lui e la seguì senza parlare nel buio della piazza.
Era andato con lei per esorcizzare quell'inquietudine febbrile che non lo abbandonava, che lo divorava. Ma ora in quella camera squallida, mentre lei si spogliava, non provava più alcun desiderio. In qualche modo lei se ne era accorta. Pazienti i suoi occhi lo fissavano incuriositi mentre ordinatamente, con piccoli gesti continuava a togliersi i vestiti. Lui non diceva niente, appoggiato alla finestra fumava seguendo pensieroso i contorni pieni di quel corpo giovane che poco a poco gli si disvelava. Infine fu nuda davanti a lui. A offrirsi tutta, senza ipocrisie. L'innocenza di quella visione lo percosse nell'intimo. Come lampi gli apparvero squarci della sua infanzia, immagini di madonne e di sante. Brandelli di preghiera gli salirono alle labbra dai recessi della memoria. Vestito, si sdraiò sul letto accanto a lei, ben attento a non sfiorare la sacralità di quel corpo nudo. Aveva voglia di piangere. Da troppo tempo era solo. Il suo cuore sanguinante era una conchiglia vuota come quelle che da bambino raccoglieva sulla spiaggia. Come loro sbiadito brandello di una vita precedente.

Dolcemente lei gli toccò la guancia.
  • Che ti succede? A cosa stai pensando? Non ti piaccio?
Il dolore celato fino ad allora crebbe dentro di lui come un fiume in piena. All'improvviso si sentì stanco, stanco di essere uomo. Ora avrebbe voluto solamente essere un bambino per piangere rannicchiato sul seno di quella piccola donna.

Lei lo capì e non gli chiese più nulla. Rosa mistica, fiore nero ripieno di Grazia, lo cullava fra le sue braccia come un bimbo, come Maria, vergine e madre, aveva stretto a sé Cristo appena deposto dalla croce.

Quella notte non tornò alla vecchia casa di pietra sulla collina. D'altronde c'era abituato. Da molto tempo ormai nessuno lo aspettava più la sera. Una sigaretta dopo l'altra, aveva dalla spiaggia visto la notte attorno a lui tramutarsi poco a poco, un quadrante del cielo dietro l'altro, in un mattino sereno. La tristezza del grido dei gabbiani all'alba era stato il saluto che il nuovo giorno gli aveva portato assieme alle voci dei pescatori che uscivano in mare diretti ai banchi di ponente.

Improvvisamente una strana sensazione di pace lo prese. Non sapeva neppure lui se fosse effetto del tepore della notte mediterranea che lo aveva stretto per ore nel suo abbraccio uterino o conseguenza del bere eccessivo della sera precedente, ma nella luce amniotica del mattino si sentiva finalmente riconciliato con la città. Al largo grandi nubi rossastre fluttuavano come navi di porpora sul mare in direzione della Corsica.

Un timido sole rosso, che faceva capolino dalla tremula linea dell'orizzonte, valse a riscuoterlo da quello stordimento. Nonostante il calore già opprimente, sentiva il bisogno di qualcosa di caldo. Si mosse alla ricerca di un bar aperto.



La città lentamente si risvegliava. Alle spalle del porto il grande mercato coperto pulsava di vita. Voci brusche, rumori di portiere sbattute, tonfi di cassette scaricate dai camion, incrociarsi di richiami e di grida. In un angolo un gatto nero dormiva rannicchiato incurante di tutto quel frastuono. Dietro all'edificio moresco del mercato un piccolo slargo ospitava i tavolini di un bar. Si sedette e attese. Una donna ancora giovane uscì dalla porta a vetri: aveva capelli nerissimi e occhi chiari color di cenere.

L'istinto gli disse di alzarsi ed andarsene. Di farlo così, tutt' a un tratto, senza esitazioni. Sarebbe stato tutto maledettamente più facile. E invece restò seduto a quel tavolino, guardandola avvicinarsi.
  • Ciao Giulia, - le disse e fu come colmare il vuoto di quei lunghi anni di separazione.
In un solo istante comprese che tutto quello che gli era accaduto fino ad allora, le cose che aveva fatto, i paesi visti, le donne incontrate e lasciate, tutto era stato solo preparazione di quell'attimo. Lei lo fissava senza parlare, incapace di fingere indifferenza. Fu come se nulla esistesse più attorno a loro, come se il mondo si fosse improvvisamente fermato. Sul volto di lei piccole rughe raccontavano la storia di una vita. Un sentimento strano, una sorta di commozione, lo prese come quando, da bambino, guardava la madre cucire seduta al tavolo della cucina. Vicino a loro un passero saltellava innocente fra i tavolini. Poi, quell'attimo di tregua finì. Senza dire una parola lei si voltò e tornò dentro al bar. Lui la seguì. in un angolo a fianco del bancone col volto rivolto contro la parete Giulia si affannava a sistemare delle bottiglie su di uno scaffale, apparentemente ignara della sua presenza.
  • Giulia…, senti… - provò a dire senza ricevere risposta.
  • Giulia…, io…- Riprese incerto.
Lei si voltò come una furia, fissandolo con odio.
  • Cosa vuoi da me? - gli gridò - Chi diavolo credi di essere? Spunti all'improvviso, dopo tanto tempo. Cosa ti aspettavi da me ? Cosa pensavi che avrei fatto? Che ti abbracciassi, che ti chiedessi di te. Come se non fosse successo niente, come se tutto questo tempo non fosse passato.
Lui fece un altro tentativo.
  • Giulia, credi: non pensavo di incontrarti. Non sapevo che…
Lei non lo lasciò finire.
  • Vattene. Vattene via. Hai capito? Vattene! Ti odio!
Fuori, mentre nell'afrore mediterraneo del mercato il sole spaccava le finestre, il gatto nero continuava a dormire nel suo angolo.


(continua)