Ieri è morto Costanzo
Preve, filosofo marxista di grande spessore e coerenza. L'ultima
volta che avevamo avuto occasione di incontrarlo (a casa sua a
Torino) lo avevamo trovato molto provato fisicamente e anche
psicologicamente per l'isolamento conseguente alla scelta negli
ultimi anni di collaborare con personaggi e riviste di ambigua
collocazione politica. Nonostante ciò i suoi lavori restano
fondamentali per la comprensione del presente e in particolare del
declino irreversibile della sinistra marxista novecentesca.
Lo ricordiamo con
questo estratto da un suo scritto di qualche anno fa.
Costanzo Preve
La necessità di un
approccio marxista a 120 anni di storia dei marxismi conflittuali
A quasi 120 anni dalla
nascita del primo marxismo storicamente costituitosi (la sintesi
sistematica di Engels nello Anti-Dühring) è impressionante, e nello
stesso tempo purtroppo rivelatore, la mancanza della consapevolezza
per cui anche (e soprattutto) al marxismo deve essere applicato il
metodo marxista. Tutti gli psicoanalisti sanno che anche Freud si è
fatto psicoanalizzare, e che in ogni caso questo passaggio era forse
spiacevole, ma anche necessario. L’approccio ideologico-religioso
del marxista medio è invece opposto, e si basa sul presupposto che
tutti i fenomeni storici dovrebbero essere esaminati con il metodo
marxista, al di fuori del marxismo stesso, cui si applica invece il
metodo pretesco e sacerdotale tradizionale, e cioè: da un lato noi,
che abbiamo ragione, perché siamo fedeli a Marx, alla classe operaia
e proletaria, ecc., dall’altro lato gli altri, che sono via via
borghesi, piccolo-borghesi, revisionisti, estremisti, ecc..
Questo approccio è
demenziale nel suo settarismo e nella sua produzione di falsa
coscienza identitaria. Nello stesso tempo, questo approccio
demenziale non potrà mai essere superato, ed infatti fino ad oggi
non è stato superato, fino a che si accetterà e si introietterà
come dato inevitabile la scissione fra due mondi, il mondo militante
del rapporto fra dirigenti politici e base di questi dirigenti ed il
mondo intellettuale in cui viene creato una specie di zoo-parco
protetto, in cui è possibile elaborare qualsiasi concezione
politica, economica e filosofica con il presupposto però che sia del
tutto irrilevante per l’unica cosa ritenuta realmente seria, e cioè
la Linea Politica delegata a dirigenti professionalizzati ed avallata
da militanti identitari e creduloni.
Bisogna comprendere bene
perché ogni possibile soluzione è bloccata. Ogni soluzione è
bloccata non certo perché gli intellettuali siano a priori migliori
dei politici di professione (spesso è anzi vero il contrario), ma
perché i dirigenti di professione elaborano una Linea Politica a
partire da una Tattica, e mai da una Strategia. Naturalmente, a volte
dicono a parole di avere anche una strategia (in breve, l’alleanza
di classe di lungo periodo per propiziare una transizione intermodale
fra capitalismo e comunismo), ma questo non è quasi mai vero, per il
fatto che il gruppo sociale specifico dei dirigenti politici deve
essere anche lui indagato con metodo marxista, e da questo risulta
che esso è composto da gente che vive dei privilegi offertigli dal
sistema politico (parlamentare, stipendiale, pensionistico, ecc.) di
tipo capitalistico. Questo fu studiato per la prima volta da Roberto
Michels, ed il fatto che si finga sempre di non conoscere le
conclusioni impeccabili cui Michels arrivò è un segno della
rimozione, o meglio della falsa coscienza necessaria che regna nel
mondo magico-mitico dei marxisti. Gli intellettuali di professione
vivono molto spesso di Illusioni, mentre i politici di professione
vivono quasi sempre di Tattica. Ciò appare evidente non appena si
applica a questi due gruppi sociali il metodo di Marx, per cui
l’essere sociale determina la coscienza.
Fatta questa premessa,
destinata ad essere inglese e francese per il lettore medio, ma anche
essere armeno e turco (cioè incomprensibile) per gli intellettuali e
i politici di professione, è bene avere chiaro che quando si parla
di marxismo si allude in realtà a tre classi di fenomeni culturali
ed ideologici distinti: un evoluzionismo positivistico, un’ideologia
identitaria ed una libera pratica culturale anticapitalistica. E’
necessario esaminarli separatamente per non incorrere in confusioni
pittoresche.
In quanto evoluzionismo
positivistico, sorto fra il 1875 ed il 1890 e poi mai più veramente
riformato ma sempre e soltanto aggiornato, il marxismo è una
concezione del mondo ormai sorpassata, incorreggibile ed
improponibile, e che per poter essere mantenuta nelle sue due
intenzioni critiche (anticapitalistica e comunista) deve essere
“rivoluzionata”, e non solo riformata o riaggiornata. Nel
linguaggio dell’epistemologo Kuhn, che personalmente approvo ed
adotto, il marxismo è dentro una crisi scientifica tale che non ne
uscirà senza una vera rivoluzione scientifica. Questo evoluzionismo
positivistico si basa su tre fondamenti tutti e tre insostenibili:
una forma di economicismo (centralità della teoria del valore-lavoro
e non dei rapporti sociali complessivi di produzione e riproduzione);
una forma di storicismo (grande-narrazione progressista di tipo
unilineare, e pertanto eurocentrico allargato a macchia d’olio);
una forma di utopismo (e cioè una concezione naturalistica ed
organicistica del comunismo, più esattamente una concezione
naturalistica dei bisogni ed organicistica del rapporto fra società
ed individuo).
Questo evoluzionismo
positivistico rifiuta la conoscenza filosofica, unica alternativa
dialogica alla religione ed alla ideologia, ritenendola del tutto
“assorbita” nella scienza e nella conoscenza scientifica, e
connota con la dicitura impropria di “materialismo” (storico e/o
dialettico) la somma di economicismo, storicismo ed utopismo. Un
simile pasticcio non può più essere solo aggiornato e riformato, ma
deve essere radicalmente rivoluzionato. Le speranze di farlo in un
tempo ragionevole sono a mio avviso minime, per la triplice
resistenza delle comunità universitarie, che vogliono solo
specialismi accademici e non un sapere sociale unitario incompatibile
con i loro specialismi, dei gruppi dirigenti dei politici di
professione, che vogliono un’ideologia identitaria di mobilitazione
facilmente spendibile sul mercato politico, ed infine della
stragrande maggioranza dei militanti di base, che vogliono mantenere
illusioni religiose totalmente false che nutrano però orizzonti a
breve termine capaci di dare un senso ai sacrifici della militanza.
In quanto ideologia
identitaria di gruppetti di “comunisti” di vario tipo
(trotzkisti, maoisti, bordighisti, operaisti,
togliattiano-stalinisti, confusionario-eclettico-noglobal-newglobal,
ecc.) il marxismo non ha nessun valore conoscitivo, ma solo di
bandiera organizzativa. Dal momento che il pesce puzza dalla testa e
non dalla coda, e questa metafora acquatica vale anche per il
marxismo, è bene ricordare che la responsabilità principale di
questa degradazione ideologica ed identitaria del marxismo non va
addebitata principalmente ai gruppetti fondamentalisti prima
ricordati, che senza paranoia identitaria si scioglierebbero come
gelati al sole, ma deve essere ricondotta alla corrente principale
del comunismo storico novecentesco, staliniana nel mondo e
togliattiana in Italia. Fu questa corrente principale fino dagli anni
Venti a trasformare il marxismo in bandiera ideologica identitaria
connotando come “nemico del popolo” ogni dissenziente razionale.
In quanto libera pratica
culturale anticapitalistica il marxismo ovviamente è vivo, è stato
vivo, sarà vivo e non potrà mai morire, almeno fino a quando non
sarà sostituito da una sintesi complessiva più convincente. Ne
siamo ancora lontani. Chiunque abbia un senso delle proporzioni ed
una consapevolezza epistemologica sana sa perfettamente che una somma
di critiche, anche convincenti e pertinenti, non fa ancora una teoria
migliore. Chi scrive, ad esempio, ne è perfettamente consapevole, e
per questo non si illude affatto di essere “oltre Marx”, ma
ritiene semplicemente di trovarsi criticamente dentro la prospettiva
aperta da Marx e non ancora veramente superata.
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