TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 23 luglio 2011

"E noi fummo fra gli ulivi come un popolo antico nella sua cattedrale", ricordo di Giovanni Boine


Cento anni fa, nel luglio 1911, appariva su La Voce "La crisi degli olivi in Liguria" di Giovanni Boine, il testo più bello mai scritto su questa terra avara e bellissima, celebrazione appassionata della storia millennaria di un popolo intero e della sua fatica quotidiana. Per noi le pagine più significative di uno scrittore che ha aperto la grande stagione della letteratura ligure del Novecento. Ne pubblichiamo un estratto.


Giovanni Boine

E noi fummo fra gli ulivi come un popolo antico nella sua cattedrale



Terreno avaro, terreno insufficente su roccia a strapiombo, terreno che franerebbe a valle e che l'uomo tien su con grand'opera di muraglie e terrazze. Terrazze e muraglie fin su dove non cominci il bosco, milioni di metri quadri di muro a secco che chissà da quando, chissà per quanto i nostri padri, pietra per pietra, hanno con le loro mani costruito. Pietra su pietra, con le loro mani, le mani dei nostri padri per secoli e secoli, fin su alla montagna! Non ci han lasciati palazzi i nostri padri, non han pensato alle chiese, non ci han lasciata la gloria delle architetture composte: hanno tenacemente, hanno faticosamente, hanno religiosamente costruito dei muri, dei muri a secco come templi ciclopici, dei muri ferrigni a migliaia, dal mare fin in su alla montagna! Muri e terrazze e sulle terrazze gli olivi contorti a testimoniar che han vissuto, che hanno voluto, che erano opulenti di volontà e di forza; i muri e le terrazze a testimoniare che hanno vinto contro la natura la loro battaglia ordinata; gli oliveti contorti a mostrarci la generosità e l'opulenza delle anime loro

Anime piene, anime pingui, anime vive nella loro tenace forma conchiusa, vive di tutti noi che non eravamo ancora e di tutti i padri che già eran vissuti. Perchè gli ulivi, lentissimi a crescere, tardissimi a dare, solo i popoli ricchi li han coltivati: solo le generazioni a cui altre generazioni han tramandato una ricchezza sicura; solo le razze sicure della sopravvivenza loro,piene della sopravvivenza loro, piene e sicure della perpetuità della loro vita.

E qui i padri han faticato per i figli e nipoti,qui ogni generazione visse degli sforzi della generazione passata e lavorò per la generazione veniente; qui ogni generazione fece il sacrificio di sé stessa alla generazione veniente. E' ciò che passa fu sdegnato, ciò che godi nell'anno, ciò che ogni anno rimuti, ciò che semini in autunno e raccogli sicuro in estate fu qui alteramente sdegnato ed il figlio volle emulare il padre in opere che restassero. Ulivi, uliveti che pianti e che durano millanni:ulivi, uliveti dappertutto!Il prato diventò uliveto, il campo uliveto,la vigna uliveto, il bosco alto faticosamente,dolorosamente, tenacissimamente uliveto.

E l'opera trionfale della razza, di tutta la razza fu compiuta. Come il popolo di una città medioevale, la cattedrale sua, così noi nei secoli. Secoli di stenti, secoli di fede chiusa. Colpi di bidente, pietra l'una sull'altra a fatica: pareva avidità di possesso ed era nell'oscuro, nelle torbide volontà del volere, la coscienza d'una razza, la forza di una razza, la sicura religione di una razza. La nostra cattedrale! Gli uliveti folti, boscosi, d'argento per tutto! avevamo fatto il nostro destino, il destino nostro era ora conchiuso; i padri finalmente avevano fissato il nostro destino. E noi fummo fra gli ulivi come un popolo antico nella sua cattedrale: ogni nostra speranza era lì, ogni nostra sicurezza era lì, negli ulivi.


(Da: La Voce, Anno III, n.27, 6 luglio 1911)