TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 15 marzo 2011

Paola Mallone, Ricordando Francesco Biamonti


Ancora un ricordo di Francesco Biamonti, questa volta di una studiosa savonese autrice del primo studio complessivo sulla figura e l'opera dello scrittore ponentino.

Paola Mallone

Ricordando Francesco Biamonti


Incontrai, per la prima volta, Francesco Biamonti a Savona, in occasione di un pomeriggio letterario che lo vide protagonista, nel marzo del ’99. Avevo ottenuto - con insistenza e giovanile entusiasmo - l’incarico di accompagnare l’autore lungo il breve tragitto che separava l’albergo dov’egli era alloggiato, nel centro della città, dalla “Villa Cambiaso”, teatro della manifestazione. Mi si offriva così l’opportunità di incontrare lo scrittore che da alcuni attenti ed illuminati “lettori” era stato presentato al pubblico come uno dei più audaci e raffinati “sperimentatori” della prosa italiana del Novecento(1).
Giunta puntuale al luogo dell’appuntamento, trovai Biamonti che mi stava aspettando. Rimasi subito colpita dal suo sguardo virile e cortese e da una naturale ed elegante dolcezza, che è il tratto vivo della sua umanità.
Presentita e scandagliata appieno la mia emozione, con sagace intuito, fu dunque Francesco ad avviare il discorso. Mi domandò dei miei interessi, dei miei gusti letterari e mi chiese, con qualche garbato riserbo, quale dei suoi libri io avessi maggiormente apprezzato. La discussione si fece via via più vivace e mirata e non mancarono gli accenni, nel suo dire composto e partecipe, alla colta couche letteraria della Liguria di Ponente e alla figura di un poeta di vena sincera, quale Luciano De Giovanni, al quale - gli dissi - io avevo dedicato la mia tesi di laurea e che Biamonti considerava amico affezionato e sodale nella genuinità dell’intonazione lirica.
A quel tempo mai avrei presagito l’intendimento, che si sarebbe determinato in me solo molto più avanti, di occuparmi della produzione letteraria, non solo romanzesca, dell’autore einaudiano, apprezzato, con singolare attenzione, da Italo Calvino.
La giornata, fino ad allora gelida e piovosa, pareva lentamente aprirsi ad inattesi squarci di sereno, voluto dalla brezza marina. A ripensare a quell’incontro, di cui la mente fatica a trattenere gli svelti contorni, m’invade il senso d’un vuoto immedicabile. Chiare, invece, mi parvero, fin da subito, le “linee guida” del mondo biamontiano, che intuivo riflettersi appieno e con nutrita coerenza, nei modi e nello stile del “personaggio-uomo”.
A un anno circa di distanza da quell’evento, mi trovavo nello studio genovese del mio editore a discutere con lui di un possibile progetto di lavoro, inerente la figura e l’opera di Francesco Biamonti, che venne subito accolto con slancio dal mio interlocutore. Le motivate riserve di questi, sull’eventuale disponibilità dell’intellettuale a collaborare e a prendere parte attiva ad un’iniziativa che, certamente, per natura e finalità, non lo avrebbe particolarmente entusiasmato, scalfirono appena la mia ferma ed ingenua convinzione d’intraprendere - contro ogni evenienza – quell’audace ed attraente prova.
Elaborai, dunque, per mio uso, qualche timido ed iniziale pensiero sull’autore, ancora non articolato ed impreciso, per avviare una riflessione che avevo intenzione di sviluppare, con maggior ponderatezza, nei mesi a venire.
Qualche tempo più tardi riferii a Luigi Betocchi e ad Enzo Maiolino (care presenze nell’universo dei miei affetti) - con un certo timore di venire subito indotta ad una resa - la mia intenzione di affrontare uno studio su Biamonti, sino ad allora intentato, che si configurasse quale “supporto” e strumento d’indagine conoscitiva dell’opus biamontiano.
L’espace d’un matin e le mie deboli pagine - per l’affettuoso e gentile intervento del più intimo amico dello scrittore, il caro Giorgio Loreti (cui mi sento debitrice e legata da sincera e profonda stima) - finirono sul tavolo di Biamonti e con esse s’avviò, fra noi, una cauta, rispettosa ed intensa “sintonia”.
Fra i preziosi tratti dell’animo, che mai negava ad alcuno, pur conducendo una vita appartata ed “esclusa”, ciò che più resta, di Francesco, è il tentativo d’infondere peso alla parola, estendendone e rendendone profonde le ragioni, fuori dell’uso comune e della chiacchiera inutile. Egli ha mirato, con devota cura, ad eternare ciò che palpita e vive - i “fondamentali” dell’esistenza - non erigendo santuari, né col rifugio in schemi razionali ed obbliganti, ma restituendo vigore espressivo alla parola, vituperata ed offesa in epoca di sterile “logocentrismo”, capace com’era di comprendere
( = “radunare in sé”, alla latina) - a partire dalla visione poetica e con misura e durata classica - gli elementi tutti di una natura che si fa, in lui, limpido e sereno autoritratto.
Nella totale consumazione di tutte le cose viventi e nel loro continuo ed assurdo ricrearsi, le pagine di Francesco Biamonti, “lavorate” come da artigiano, polite e nettate dalla fatica del parlare a un interlocutore che non si conosce né si snida, restano ferme a segnare un cammino esemplare per rigore morale e per risultati altissimi di scrittura.
La verità di Biamonti è amara, chiusa, definitiva. La “caducità del vivere”, in fondo, è lezione suprema d’ogni letterato.
Egli ha visto avanzare, con lume d’animo e saggezza di vero intellettuale, la negazione del mondo; l’ha colta ed introitata e ne ha reso conto nella pagina, con malinconica amarezza e virile senso della solidarietà, in una sorta di laico ed umanissimo “cristianesimo senza Cristo”.
Ben a sproposito gli si diede patente di fragile pessimismo: non si leggono speranze, in Biamonti, né angosciate e laceranti disperazioni. A prevalere, invece, la virtù etica del contemplante ed una reale ed autentica, “esistenziale” compassione. Il suo “vedere” - “non partecipare” è post-vedere e antivedere. Orgoglio di trattenere il tempo nello spazio absolutum dell’istante. Nessuna poetica più della sua è saldamente ancorata all’“oggi”, ch’egli filtra e ritrae con inesausta e severa attenzione.
“Memoria”, “realtà” e “sogno” sono i tre elementi che lavorano, nel dire piano dell’autore, alla ricerca d’una verità essenziale, cui egli aspira, con fedeltà cocciuta e “ostrica”.
È un universo, il suo, di affetti radicati e di ligure riservatezza, ove il vissuto quotidiano ed il soffrire del mondo si stemperano, in un’atmosfera disincantata e ferma, di continuo resa serena dall’esercizio della misura etica.

NOTE

1) V. Coletti, Umanità in fuga nel dilagare del paesaggio. Francesco Biamonti fra i grandi sperimentatori della prosa novecentesca, in “L’Indice”, marzo 1998.


(Da: Bollettino Comunità di Villaregia, 2000/2001, n. 11-12)



Paola Mallone, nata a Savona, si occupa di letteratura del Novecento. Fra i suoi lavori: “Predicatori e Frescanti. Jacopo da Varagine e la pittura ligure-piemontese del Quattrocento”, “Il muro che ci separa. Carteggio di poeti liguri”, “Il paesaggio è una compensazione. Itinerario a Biamonti”.