TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 15 novembre 2010

In memoria di Elio Lanteri



E' morto Elio Lanteri, autore del bel romanzo "La ballata della piccola piazza", pubblicato nel 2009 quando l'autore aveva ottant'anni. Originario di Dolceacqua, era stato amico di Francesco Biamonti. Lo si incontrava spesso a passeggiare sulla banchina del porto di Oneglia. Lo ricordiamo con le parole di Marino Magliani che per primo seppe riconoscerne la grandezza.



Dalla Prefazione di Marino Magliani a "La ballata della piccola piazza"


Ho conosciuto Elio Lanteri una decina di anni fa, durante un mio soggiorno invernale in Liguria. Elio frequentava, e credo lo faccia ancora adesso, un caffè sul porto di Oneglia. Lo incontravo il mattino e dopo la colazione uscivamo sul porto a passeggiare. Se il tempo era brutto stavamo a ridosso, sotto i portici, altrimenti camminavamo al sole lungo i binari di Calata Cuneo. Elio mi parlava dei miei racconti, di ciò che aveva letto di mio, cose che erano uscite per una piccola casa editrice di Imperia.
E di Biamonti, della loro amicizia, dei loro viaggi in Provenza, ma anche di Seborga, di René Char, di Juan Rulfo, di Garcia Lorca. Mi parlava di mille autori, ogni volta uscendo con cose che non conoscevo. Succedeva che io gli menzionavo un francese o uno spagnolo e lui allora si fermava un istante lungo i vecchi binari del porto e cominciava a citare. Entrambi con le fronti vaste usavamo buoni berretti di lana e forse la gente un po’ ci notava, un giovane e un signore anziano che passeggiano a scatti e si fermano, ripartono e tornano a fermarsi. Perché questo era l’avanzare di Elio su quel porto – e lo è tutt’ora – per gradi e citazioni. Fin quando un giorno non gli chiesi se non gli era mai venuto in mente di scrivere qualcosa.
Elio disse serio perbacco, certo che l’aveva fatto, ma non era importante, aggiunse subito.
Gli chiesi di farmi leggere il suo lavoro, non voleva, non perdere tempo mi diceva, pensiamo alle tue di trame, piuttosto, il mio, disse, resta un esercizio.
Dovetti insistere, e alla fine ci riuscii: un giorno arrivò sul porto col manoscritto. In quei tempi era ancora viva mia madre e tornavo in Liguria anche tre o quattro volte l’anno, poi alla fine dell’estate ripartivo per l’Olanda.
Quell’anno portai con me il suo manoscritto. Miracolosamente in Olanda faceva ancora caldo e andavo ogni giorno alla spiaggia. Passavo i pomeriggi a leggere e a rileggere le pagine di Elio Lanteri, a segnare sui fogli delle cose a matita. Me ne innamorai subito, per dirla com’è, della Ballata della piccola piazza, perché mi sembrò fin da subito una storia nuova, una Liguria mai raccontata, una regione finalmente non olearia.
Da sempre chi ha narrato la Liguria si è confrontato con la neccessità di guardare agli ulivi e al suo mare. Nell’unico romanzo che ci ha lasciato Boine (Il peccato, 1914), raramente si trovano gli ulivi, ma questo perché raramente l’io narrante lascia la costa. Nei saggi sulla crisi degli ulivi e altrove, invece, Boine costruisce passo a passo la sua cattedrale degli ulivi.
Anche Calvino ci ha mostrato una zona ulivata, indicandoci addirittura la linea che divide la Liguria e separa la severità della campagna dalla mondanità della riviera.
Biamonti ci fa intuire il mare nella luce e ci regala la mineralità degli ulivi. E un po’ tutti, prima e dopo e attraverso questi nomi, ci hanno regalato ulivi e mare.
Nella Ballata gli ulivi non appaiono. Eppure le famiglie che popolano questo romanzo vivono soprattutto di ulivicoltura. Ci sono le giare piene d’olio e la capra le prende a cornate. Perché dunque nelle pagine di Lanteri che leggeremo non ci sono ulivi? Perché la Liguria che ci consegna Lanteri è fatta di soli sogni, assomiglia piuttosto a quel terreno fantastico su cui riesce a muoversi Juan Rulfo, è una Liguria che sale nei vapori dei torrenti e resta nell’aria.
Io su quella spiaggia del Nord non sapevo mica cosa stavo leggendo. Era un po’ come quando ci svegliamo e non sappiamo più cosa abbiamo sognato. Sappiamo che abbiamo fatto un bel sogno, o brutto, e sappiamo che non basta. Dov’eravamo, cosa abbiamo sentito, quanto siamo stati bene o male?
E così, rileggendo la Ballata – ché i sogni non si riescono a risognare, ma i libri sì – ho capito che davanti a me avevo davvero la Liguria che avevo cercato nei libri, e nelle passeggiate buie dei fondovalle, nei dormiveglia, nelle notti che mi trovano ancora da qualche parte, in Liguria e altrove. Era la terra che non ero mai più riuscito a rivedere, allora ci misi le mani e la odorai. Erano le pagine visionarie che non avevano bisogno di mare né di ulivi o di luce, per essere il sogno, ma solo di parole e musica.
Mi chiedo da sempre se esiste la musica nei sogni. Ecco cos’è per me la Ballata. Una favola come solo un bambino riesce a raccontare ed ascoltare, favola dura, di vita e di morte di una generazione di bambini che hanno giocato durante una guerra. Favola piena di frutta d’estate e di paure, e di venti che d’inverno entrano nei giacconi. (...)