TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 17 settembre 2010

Da leggere: Nico Orengo, Il salto dell'acciuga



Ci sono libri che non invecchiano, che come i buoni vini acquistano col tempo sapore e aroma, che reggono alla prova decisiva di una seconda lettura. E' il caso de Il salto dell'acciuga di Nico Orengo, un viaggio dalla Liguria al Piemonte lungo le vie del sale al seguito degli acciugai della Val Maira, di cui proponiamo una pagina e il risvolto di copertina.


Nico Orengo

La bagna caoda



Da tempo Vasco voleva portarmi verso Cuneo a cercare un acciugaio che da ragazzo girava i paesi con la bicicletta e il suo barattolone legato al portapacchi, dietro al sellino.
- Prima, - gli ho chiesto, - fammi vedere come si fa una bagna caoda.
Sono andato in cucina, a casa sua, in via Casteggio, dove una volta abitavo nell'alloggio dove ora sta lui. Mi fa vedere un mucchietto di acciughe belle grassottelle. -Piú le lavi e meno forte rimane la bagna, - dice. - Se son buone le devi spaccare longitudinalmente, ricorda. Devi metterle per una decina di minuti in un piatto fondo coperte d'acqua e un po' d'aceto di buon vino. Perdono sale e si sgrassano leggermente. Poi l'aglio. Se ce l'hai di Cap d'Ail, quello rosato, meglio. Una testa a persona. Togli per bene la pellina e anche l'anima, che fa solo pesantezza di stomaco. Poi ti prepari le verdure. Il cardo, di Nizza Monferrato, è il piú delicato. Lo tagli e lo tieni a bagnomaria in acqua e limone perché non ossidi. Fai lo stesso anche con i topinambur. Ricordati le foglie del cavolo, quelle vicine al cuore e ricordati di prendere, a Porta Palazzo li trovi, i peperoni sotto raspo d'uva, lavali con cura. E lava bene le barbabietole. Fai cuocere una cipolla al forno, con la buccia, che peli dopo. Ci vuole anche una bella noce, senza pelle. Per levarla si butta nell'acqua bollente e poi sotto il rubinetto della fredda. Poi pesta bene la noce.
Vasco prende le acciughe dal piatto, le apre, le lava ancora sotto l'acqua fredda e poi le asciuga su fogli di scottex. Si avvicina a una terrina e ci versa due bei bicchieri d'olio e una noce di burro.
A questo punto ci versa la noce tritata e accende a basso fuoco. Con una paletta di legno amalgama olio, burro e noce. E ci lascia cadere con religiosità le acciughe, una per volta e gira con polso di velluto. A parte ha fatto bollire nel latte l'aglio e ora, che è freddo, dopo averlo asciugato, lo schiaccia con il palmo della mano e lo butta nella terrina.
- Ti faccio una bagna delicata, - dice.
E continua a girare, ad amalgamare. Tiene il fuoco ancora per un quarto d'ora, poi dice che è pronta.
Ci sediamo a tavola, con la terrina di fronte.
Vasco ci íntinge un pezzo di pane. - Non male, - dice.
Non è il «brodo» di Ernè, ma il suo ricordo è forte.
Dico a Vasco che la bagna caoda viene dalla Liguria. Ride. Gli dico che poco prima di Natale l'abbiamo mangiata a Dolceacqua. E che non credo che sia solo la presenza di «foresti» torinesi ma anche di un ricordo tornato alla memoria, dopo secoli. Cosi, all'improvviso.
Vasco è scettico. - In Piemonte la facevamo già con l'olio di noci.
Io penso ai Saraceni di Moschiéres, al fumo dei loro camini che sapeva d'acciuga e aglio.




Il salto dell'acciuga

Nico Orengo va disegnando da anni una sua speciale geografia poetica che è al tempo stesso reale e fantastica, concreta e fiabesca. Un paese dell'anima, anche se è identificabile in quelle terre di Liguria tra Francia e Italia, dove il mare e le colline, le piante e le rocce, i fiumi e i boschi si confondono in una continua 'dogana d'amore', come recita il titolo di uno dei suoi libri più fortunati.

L'adesione che Orengo sente per quel suo mondo si traduce in storie di ieri e di oggi, in delicati acquerelli, in cataloghi portentosi di animali d'acqua e di terra, di erbe e piante di orto e di giardino che sulle sue pagine sembrano acquistare suggestioni, incanti e profumi mai provati prima.

In questo nuovo libro, che ha l'agio divagante di una conversazione tra amici, Orengo prova a superare la cresta delle colline e dei monti che cingono i 'suoi' territori, e a spingersi verso il Piemonte. Lo fa seguendo una traccia antica e avventurosa: quella del commercio del sale e delle acciughe, un traffico che si perde oltre il Medioevo nella notte delle fiabe e dei miti.

Il mondo marinaro si fonde a quello contadino; antiche leggende evocano scontri e contese di timbro epico, ma anche improvvise pacificazioni; il nome di un paese può diventare la chiave per scoprire un enigma. Sono stati forse gli arabi, stanchi di troppe guerre e scorrerie, a farsi mercanti di quel "pesce di montagna" che si conserva nel tempo? quali agguati attendevano i carretti degli acciugai? fin dove arrivavano i loro commerci? quali paesi sono il centro di una ragnatela di rapporti che sono anche culturali? quali sono i riti e i canti che accompagnano la 'bagna caoda'? ed è possibile che sia nata proprio sulle spiagge di Liguria, magari nei recipienti in cui tre vecchi pescatori pestano all'alba frammenti di pesce secco?

Orengo racconta, ricorda, intreccia notizie storiche e storie di paese (tra cui spicca quella della Olga, misteriosa figura al centro di una vicenda di passione e di violenza), insegue mestieri perduti, odori e colori, si incanta, ci incanta, accompagnandoci alla scoperta delle verità poetiche e umane che si nascondono nei viaggi millenari del sale e dell'acciuga.

Nico Orengo
Il salto dell'acciuga
Einaudi
€ 9,00