TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 27 luglio 2010

Francesco Biamonti, Mario Novaro tra luce e mare


Mario Novaro

Francesco Biamonti ci parla di Mario Novaro (e di Montale), ma ancora una volta protagonisti sono la luce e il mare.

Francesco Biamonti

Quasi una musica bianca*


Posso dire di aver avuto una lunga esperienza come lettore di Mario Novaro. Leggendolo ventenne, e forse prima, ho provato un'impressione stranissima, un senso di meditazione profonda e di rarefazione, inconsueta nella letteratura italiana, quasi una musica bianca propria di certi raffinatissimi poeti francesi. Ho capito che l'anima della Liguria era, nella sua severità giansenistica, anche un'anima fatta di leggerezza musicale. Una poesia nella quale la levigatezza delle pietre del mare si sposava con gli scabri e nudi ciottoli della montagna, In più c'era una tentazione di dissolvimento della luce.
D'altra parte, credo che sia in questo oscillare tra la montagna e il mare, tra la concretezza delle cose più solide e minerali e la liquidità infinita del mare, e l'ossessione del dissolvimento della luce, tutta la centralità della poesia ligure del Novecento. Centralità che può andare dalla riflessione morale alla ossessione metafisica.
Ho scoperto poi – leggendo – che Mario Novaro era stato un grande studioso di Malebranche, il quale voleva porre il razionalismo cartesiano al centro della filosofia cristiana, al centro della conoscenza del mondo. Le cose non si vedono di per sé – sarebbe allora un semplice occasionalismo – ma si vedono in rapporto con la mente divina unitaria. Credo che vi sia in Mario Novaro, nella frammentarietà delle cose che ci presenta a piccoli quadri, quasi premontaliani: oggetti che navigano nella luce del giorno, nell'ombra della notte, nel chiarore della luna, un tentativo di coglierli in un'unità primaria che li fondi aldilà della contingenza.
E a che cosa pensa Mario Novaro quando muore il padre, se non al mare:

...sussurrava il mare
a piè della casa il canto
suo notturno più penetrante
di dolcezza e dolore e delirio.

Ecco, avevo pensato un'altra cosa: anche il discorso sul metodo di Cartesio era stato scritto in un porto di mare, era stato scritto nel porto di Amsterdam. Come se ci fosse un'esigenza dell'io di fermarsi su qualcosa, davanti alla sterminatezza del mare, davanti all'infinito.
Ma in Novaro ho notato anche altre varie affinità con scrittori e poeti da me particolarmente amati e riletti. C'è la ricerca di un varco fra le cose che ci circondano

… spalancano lo spazio
perché l'anima immota lo varchi
oziando nell'oppio dell'ora.

Quello che poi diventerà il varco famoso di Montale: “Cerca una maglia rotta nella rete/ che ci stringe...”.

*Unico brano esistente della relazione sulla poesia di Mario Novaro tenuta da Francesco Biamonti il 25 novembre 1994 a Palazzo Tursi – Genova – in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario della morte del poeta imperiese.

(Da: La Riviera ligure, anno VI, n.17/18, dicembre 1995)

Ringraziamo la Fondazione Novaro per l'autorizzazione a riprendere questo testo.



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