TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 8 luglio 2010

Chi ha ucciso Guy Debord?



Alfonso Amendola

Chi ha ucciso Guy Debord?


Il primo assalto fu lanciato il 14 aprile 1958 all’Assemblea generale dei critici d’arte di Bruxelles: “Non avete più niente da dire. L’Internazionale Situazionista non lascerà alcuno spazio per voi. Vi faremo morire di fame”.
La mia costruzione comincia con una clamorosa frattura, quella del novembre del ‘52 quando dissi addio a Isidore Isou e al suo Lettrismo. Io ho occhi troppo profondi e urla sadiane che mi spingono verso l’oltre. Un oltre che ti racconto in fuori sincrono e dal fondo della sala. Io ti costruisco la mia Internazionale Situazionista e ti faccio cambiare pelle all’universo con la mia “critica totale del mondo esistente”. Io “bandito senza bandiere e poeta del sampietrino” (come scriverà di me Pino Bertelli)ho un solo nemico la “società borghese”… Tantissimo oggi è planimetria borghese… perché badate bene io – “dottore in niente”- so qual è il cancro ulceroso dell’esserci borghese (che ha il volto del capitale, ma anche del maoismo o dello stalinismo e della democrazia e di tutti i fascismi e anche di quell’autore di “spazzatura” di nome Sartre). E lo “status” borghese te lo combatto con le mie armi. Estreme. Come il mio cinema (oscuro e poco amato, eppure clarissimo et amabilissimo e sempre “irriducibile” lo definirà Enrico Ghezzi). Come i miei pochi, sferzanti, pamphlet. Come il mio plurisaccheggiato libro cult del ’67. Come la mia esistenza che dona rigore e vuole rigore. La mia arma è la mia solitudine. Il mio credo è il gesto fatale. E la mia mauvaise réputation è l’ulteriore attacco di un sistema che ti ho sgamato nelle viscere. E non parlatemi d’inconsapevolezza dell’inconscio perché io mando a fottere tutta la psicoanalisi cara ai francofortesi! E non parlatemi neppure di rivoluzione, rivoluzionari, caos sistemico e disordine insurrezionale…
Tanto io so bene che “la vittoria sarà di coloro che avranno saputo provocare il disordine senza amarlo”. E quindi al macero tutti i rivoluzionari di professione che amano, adorano e respirano nel nome del “disordine”. L’unica possibilità d’esistenza provocatoria è il saccheggio. Ecco perché la mia esistenza è tutta giocata sul détournement. E poi per chi come me è nato “al calar della notte” poco importa se il 30 novembre del 1994 mi sparo un colpo di fucile. E la faccio finita. Basta con questo trionfo del mediale e con questo delirante spostamento delle immagini sull’essere. Vi lascio quel che resta del “vero” (un ulteriore momento del falso nel “mondo capovolto”) e vi lascio tutti come beceri ed eterni “spettatori”. Lì immobili a guardare (senza vita e senza respiro, vestiti d’apparenza e falsificazione). Questo è l’unico vostro destino. Questo è il mio ultimo panegirico. Questa è la mia lacerante “premonizione”.
Ed ora, per favore, dissolvenza, separazione, on.

Off!



(Da: Tracce, Rivista multimediale di critica radicale, Autunno 2009, n. 29)