TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 21 febbraio 2010

Guido Seborga, Genova




Spesso la scrittura di Guido Seborga viene sbrigativamente etichettata come "realismo". Non siamo d'accordo e crediamo che il testo proposto oggi, straziante dichiarazione d'amore e di sofferenza per una città difficile da comprendere, testimoni come in Seborga la descrizione di uomini e luoghi sia prima di tutto viaggio alla scoperta di un paesaggio interiore lacerato e dolente.


Guido Seborga

Genova


In una curva spezzata Genova appare con le sue case alte e grige. Un sole invernale illumina le colline. Il fumo delle fabbriche e del porto blocca il sole nel cielo e in alto mare; non permette ai raggi di penetrare nel porto, le vecchie case dell'angiporto di sottoripa sono nere. In porto l'acqua è dominata dai ponti dalle banchine dalla calate, le navi stanno nell'acqua pigre e stanche; le grues svettano al cielo. In questa grande sacca nera dall'acqua stagnante melmosa, non c'è riposo. Silos, vagoni, carrelli, rotaie, opifici, bar, cassoni, sacchi, balle, ceste; ed in mare chiatte, e rimorchiatori, vapori, navi, petroliere; e tanti uomini in lavoro.
(…)
Ogni sezione del porto con la sua specialità. Industriale per le riparazioni alle navi, più a levante ancora il mercato del pesce, più a ponente la darsena, la stazione marittima per i grandi viaggi romantici o d'affari, vicino alla Lanterna il carbone, poi la legna, e le cisterne per i carburanti e olii, e il materiale grezzo, il ferro d'ogni genere e forma per la Sinigalia.




Porto e fabbriche, altiforni e laminatoi, metalmeccaniche. E i casoni alti e grossi di Genova, sporchi, sono luoghi tristi, dove gli uomini si rifugiano dopo tanto lavoro. Genova tenace che lavora duramente, che spende poco, ricchezze dentro palazzi antichi e i nuovi grattacieli, e traffico immenso nelle poche strade mai larghe, tamponamenti continui, si dovrà fare la sopraelevata.
(…)

Nei casoni popolari sulla brulla e triste collina del Belvedere, dove i prati non riescono più a diventare verdi, e squallidi sono i grigi cimiteri dagli alberi secchi; nelle catapecchie lungo la riva del mare a Voltri a Pegli, dove almeno si comincia a respirare aria migliore, sino a Ravecca umida e colpita dal vento, nei vicoli e nelle strette di Prè e del centro; in ogni dove una mancanza ancora di vita realmente moderna, una lotta crudele, una contraddizione straziante tra la ricchezza e la miseria.
(…)



I lavoratori genovesi sono rudi ma aperti come tutti i marittimi e portuali, trattenuta e violenta è la vita nel groviglio di queste case nere e fumose, solo nei dintorni appaiono le meravigliose e antiche ville liguri, splende la luce e anche l'erba diventa smagliante. Genova è qualcosa di molto di più o di molto meno bello della Liguria.
(…)
Genova con il suo porto gobbo, Genova scarna, con la sua disperazione di pietra nera. E tra i vichi stretti o i corsi più larghi e dai pochi alberi secchi, in riva al Bisagno dalla poca acqua e dalle molte pietre, dal Polcevera alla Foce, dopo la giornata attiva, riprese violente della malavita, coltello e gancio. Qui ci si può veramente sentire un uomo da recuperare, un uomo perduto, un uomo ferito.

(Da: Ergastolo, 1963)

Guido Seborga
Morte d'Europa/Ergastolo
Spoon River, Torino 2009